L’annunciata mancata partecipazione della Brigata Ebraica e dell’Aned alla manifestazione per il 70mo anniversario della Liberazione ridurrebbe storicamente il significato della manifestazione. Non solo per il ruolo della Brigata Ebraica nella lotta partigiana ma soprattutto perché priverebbe il 25 aprile della fondamentale connessione semantica e valoriale tra guerra al nazifascismo e autodeterminazione dei popoli che la Carta dell’Onu, il 26 giugno 1945, sancì come principio cardine del nuovo ordine mondiale.

E proprio al principio dell’autodeterminazione la bandiera del popolo palestinese si richiama per la costituzione di uno Stato che ancora Stato non è.

La natura e il significato della bandiera risale alle rivolte arabe condotte, con Gran Bretagna e Francia, contro l’impero ottomano nella prima guerra mondiale. Quel conflitto si concluse con la prospettiva dell’indipendenza araba, il mandato britannico e la dichiarazione di Balfour del 1917 che creava le condizioni storico-politiche per l’avvio del processo d’immigrazione ebraica in Palestina. Nel 1921 Amin Al-Husayni divenne gran Muftì di Gerusalemme nonostante la condanna alla prigione da parte britannica per l’aggressione al quartiere ebraico della città.

Dopo un nuovo mandato d’arresto da parte inglese a seguito delle violenze del 1936-39 fuggì, come aveva già fatto nel 1920, in Libano. Durante la seconda guerra mondiale fu stretto alleato dell’Asse costituendo reparti combattenti su diversi fronti del conflitto. La Jugoslavia lo indicò come criminale di guerra per l’operato delle sue formazioni bosniache durante l’occupazione nazifascista dei Balcani.
Nel contesto post-bellico l’internazionalizzazione della «questione palestinese» si sviluppò parallelamente al discredito di Al-Husayni proprio in ragione della sua alleanza con Hitler e Mussolini, tanto che come rappresentante della Palestina in seno alla Lega araba fu nominato Musa al-Alami leader del partito nazionalista-islamico Istiqlal.

Così quando nel 1948, nel quadro degli eventi che portarono alla fine del mandato britannico; alla proclamazione dello Stato d’Israele; all’esodo della popolazione palestinese e alla prima guerra arabo-israeliana, quello svolto da Al-Husayni fu un ruolo effimero e politicamente privo di incidenza. Collocato a Gaza dall’esercito egiziano per insediarsi come presidente della Palestina il 1 ottobre 1948, dopo pochi giorni fu rimosso di forza.

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25 aprile 2014. Foto Attilio Cristini
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25 aprile 2014. Foto Attilio Cristini

La bandiera palestinese ha attraversato come tutte quelle nazionali il fuoco della grande storia e come molte è stata brandita come vessillo e arma da clan, califfati e dittatori. Ma proprio la linea di faglia storica demarcata dalla fine della guerra mondiale e la internazionalizzazione della «questione palestinese» ne hanno ridefinito senso e significato trasformandola nel simbolo non solo dell’Olp, ma anche di tutti quei popoli che lottano per l’autodeterminazione che il diritto internazionale riconosce.

C’è stato un tempo in cui il l’antifascismo riuscì ad essere campo inclusivo e non escludente di queste anime della storia. I gappisti Rosario Bentivegna e Marisa Musu avevano certo idee molto diverse sul conflitto in Medio Oriente, con la seconda vicino ai «Bambini dell’Intifada» (come recita il titolo di un suo libro del 1991) ed il primo considerato un «eroe» dalla Comunità ebraica di Roma (come dichiarò Riccardo Pacifici il giorno della morte del partigiano «Paolo»).

Tuttavia la guerra combattuta per la liberazione dei popoli e la forza della loro autorevolezza teneva insieme, dentro la visione lunga della storia, istanze di liberazione antiche e nuove, rifuggendo dall’adagio secondo cui la sinistra sarebbe amica degli ebrei di ieri e ostile a quelli di oggi, senza allo stesso tempo abbandonare alle sofferenze dell’occupazione un popolo in esilio.

Il senso del 25 aprile non è quello della rappresentazione scenica di conflitti asimmetrici che sconvolgono il mondo di oggi. È la data più importante della storia della democrazia in Italia e uno spazio pubblico di cittadinanza libera, a cui chiunque si rifaccia a quei valori ha il «dovere», prima ancora che il diritto, di partecipare.