Quattro su sessantasei. Sono le giovani donne nigeriane che ieri sono finalmente riuscite ad uscire dal Cie di Ponte Galeria dopo aver ottenuto il riconoscimento della protezione umanitaria. Accompagnate a Termini da un’attivista della campagna Lasciatecientrare e da qui in un’altra città italiana, dove hanno trovato ospitalità protetta presso una struttura di accoglienza che si è offerta di ospitare anche le loro compagne di reclusione.

Questa la buona notizia. Quella cattiva è che 40 delle altre 62 giovani donne hanno invece già ricevuto il diniego della protezione e rischiano il rimpatrio: perché non è detto che i ricorsi presentati dai loro avvocati garantiscano la sospensiva del provvedimento di espulsione e il relativo rimpatrio. Una delle tante vicende di detenzione amministrativa? No. La storia di queste giovani donne è piena di violenze atroci, di soprusi, di segregazione e di sfruttamento e per questo meriterebbero quella protezione che, a quanto sembra, viene negata alla maggior parte di loro.

Partite tre mesi fa dalla Nigeria, hanno viaggiato fino alla Libia, dove sono state rapite, picchiate, derubate dei documenti, segregate in casa, costrette a prostituirsi, obbligate ai lavori forzati. Poi il viaggio verso l’Italia. Arrivate via mare dalla Libia tra il 17 e il 22 luglio, sono state accolte nei centri di prima accoglienza di Lampedusa, Pozzallo e Augusta.

A tutte, comprese tre donne in stato di gravidanza a seguito delle violenze subite, sarebbe stato notificato un decreto di respingimento subito dopo la fotosegnalazione, senza che nessuno le informasse sul loro diritto di chiedere asilo. Quindi il 23 luglio il trasferimento al Cie Ponte Galeria per l’identificazione e l’esecuzione del rimpatrio. Lì ad attenderle, secondo le testimonianze raccolte dalla cooperativa Bee-Free e dalla campagna Lasciatecientrare, un membro del consolato nigeriano che nello stesso giorno ha proceduto all’identificazione. Sempre nello stesso giorno, sono state emesse le udienze di convalida del “trattenimento” nel Cie.

Il rimpatrio collettivo era di fatto già pronto. Solo l’incontro con le operatrici della cooperativa Bee-Free e dell’associazione A buon diritto è riuscito a fermarlo, almeno sul momento. Grazie al loro intervento e a quello della campagna Lasciatecientrare, tutte le ragazze sono riuscite a presentare la domanda di protezione internazionale.

Le testimonianze raccolte nel corso delle due visite al Cie effettuate da Lasciatecientrare il 7 e il 14 agosto scorso (l’autorizzazione per una terza visita è stata negata), raccontano storie di abusi, violenze, prigionie, fughe, ricatti sessuali e psicologici. Di giovani donne in fuga da un paese considerato “sicuro”, nel quale è consentito quindi effettuare i rimpatri. Di ragazze, alcune appena maggiorenni, in viaggio per settimane (in alcuni casi per mesi) attraverso la Nigeria, il Niger, la Libia. Alcune detenute e violentate dalla polizia nelle carceri di Zwara. Le storie delle sofferenze e delle violenze subite sono purtroppo scolpite sui corpi di alcune di loro, con ustioni e segni di percosse talmente evidenti che le loro vesti non riescono a nasconderle.

Possibile che siano passate inosservate? Possibile che nessuno abbia pensato che potessero essere vittime di tratta e letteralmente “inviate” in Italia a scopo di sfruttamento sessuale? E possibile che anche alle tre donne in stato di gravidanza sia stato notificato un provvedimento di respingimento, violando la normativa vigente? Le audizioni presso la Commissione territoriale che deve valutare le domande di protezione si sono svolte tra il 19 e il 26 agosto. Come anticipato in apertura, ad oggi sono quattro i riconoscimenti di protezione e 40 i dinieghi.

La fretta sospetta con la quale si è proceduto all’analisi delle domande di protezione, senza consentire agli avvocati di avere il tempo congruo per preparare i ricorsi contro i dinieghi, fa pensare alla volontà di “chiudere” velocemente un caso che, giustamente, ha suscitato l’attenzione della stampa.

E potrebbe risultare “scomodo” in occasione della visita prossima in Italia di una delegazione del sotto Comitato Onu contro la tortura. Per questo è opportuno tenere alta l’attenzione.