Come prevedibile, il governo di Roma si sta rivelando una prova molto difficile per il Movimento 5 Stelle. Non solo per i gravi problemi della città, ereditati dalle precedenti amministrazioni di centrosinistra e di centrodestra, e aggravati da anni di sprechi e di ruberie. Ma anche per le forme organizzative ancora molto variabili del movimento, che hanno lasciato spazio a incertezze, contraddizioni ed errori di comportamento.

La giunta Raggi è stata d’altra parte sottoposta a un bombardamento mediatico senza precedenti, che ha utilizzato qualunque spunto per riproporre continuamente l’idea del «caos», della «terremoto», della «bufera», applicandola al Campidoglio, a Roma e allo stesso M5S. È paradossale che solo il quotidiano dei vescovi italiani (Avvenire) osi rompere il conformismo dei principali mezzi di comunicazione, criticando «il coro, unanime, degli altri partiti e dei mass media, lesti a “sparare” sulle inadeguatezze del Movimento e dei suoi rappresentanti, prefigurandone un rapido tramonto».

I problemi emersi a Roma mettono però in evidenza anche una serie di nodi che il M5S deve affrontare in tempi rapidi se vuole candidarsi per il governo nazionale. Un passaggio difficile, forse troppo accelerato, dopo quello già sperimentato tra il 2012 e il 2013, da movimento attivo soprattutto sul web e sul territorio a forza parlamentare più votata nelle circoscrizioni italiane.

Le vicende e i problemi della giunta romana richiedono un ripensamento di tre principi fondamentali, che segnano l’identità stessa del M5S: 1) l’impegno per ridurre i costi della politica; 2) il rigore per garantire legalità e trasparenza nella gestione delle istituzioni; 3) il rifiuto di costruire un partito, e l’opposizione alla politica come professione.

Il primo problema affrontato da Virginia Raggi è stato quello di scegliere amministratori in grado di portare avanti i cambiamenti promessi e attesi dell’amministrazione romana. Non avendo il M5S un proprio personale con esperienza amministrativa, sono state ricercate persone esterne, con elevate competenze e capacità, che dovevano però condividere e rispettare i principi e i programmi del movimento. Una selezione non facile, che ha permesso ai partiti politici di utilizzare contro il movimento alcune delle sue idee per il rinnovamento della politica.

Le prime campagne sono state sugli stipendi elevati dei collaboratori, giudicati in contrasto con le promesse di ridurre i costi della politica. Un tema che poteva facilmente far leva sulle idee dei militanti e degli elettori del M5S, anche se il costo complessivo della giunta Raggi risulta molto inferiore a quelle delle giunte di Marino e di Alemanno.

Molto più rilevanti sono stati poi i problemi sollevati dall’iscrizione sul registro degli indagati di due assessori (Muraro e De Dominici). Una questione difficile da affrontare per il M5S, che era già emersa in altre città come Parma e Livorno. A Roma è diventato il tema più critico per la nuova amministrazione, anche a causa delle incertezze e delle divergenze fra gli stessi esponenti del M5S. Raggi ha revocato l’incarico di De Dominicis, ma ha chiesto di «veder le carte» prima di decidere sull’assessora Muraro. Una posizione, accettata anche da Grillo, che dovrebbe però essere seguita da un ripensamento generale dei criteri di applicazione dei principi di legalità agli amministratori pubblici, indipendentemente dalle loro appartenenze politiche.

I problemi emersi per la formazione delle giunta Raggi hanno d’altra parte messo in evidenza i limiti della struttura organizzativa del M5S, molto debole e largamente informale. Sono state segnalate (ed enfatizzate) da tutti i media le divergenze e le rivalità che si sono manifestate su diverse questioni. Lo stesso Pizzarotti ha evocato l’immagine di un M5S «logorato dalle lotte di corrente». Tutti i movimenti hanno conosciuto divergenze e contrasti interni, anche se restavano uniti per i valori e gli obiettivi generali. Ma è evidente che l’assunzione di responsabilità di governo (locale o nazionale) richiede a un movimento una trasformazione delle pratiche e delle forme organizzative, per poter affrontare rapidamente molteplici questioni, assumendo decisioni che superino le possibili divergenze. Fino ad ora il M5S ha creato un solo organismo di direzione collettiva, il cosiddetto «direttorio», impegnato in lunghissime discussioni sui problemi della giunta Raggi. Ma non appare più sufficiente, come è stato rilevato anche da diversi esponenti del M5S che ne chiedono ampliamenti e trasformazioni. Il movimento fondato da Grillo rifiuta la trasformazione in partito perché vuole evitare lo sviluppo del carrierismo e della ricerca di vantaggi personali. Ma ha la necessità sempre più evidente di dare vita a strutture organizzative collettive più efficienti ed efficaci, per prendere le decisioni a livello locale e nazionale, guidando l’azione e l’impegno dei suoi eletti e dei militanti. Assume d’altra parte sempre più importanza il problema della formazione politica dei suoi attivisti impegnati nelle istituzione, che non può essere lascito al semplice accumulo di esperienze personali.

La sfida per il governo di Roma se gestita positivamente può essere una occasione importante per la trasformazione del M5S, che si candida come forza di governo. Anche se le vicende degli ultimi giorni hanno fatto perdere alcuni punti di consenso elettorale, il movimento resta la principale alternativa al governo Renzi. E può essere opportuno raccogliere l’appello lanciato dall’articolo dell’Avvenire già ricordato: lasciare alla nuova amministrazione il tempo di governare, non solo per affrontare i gravi problemi della capitale, ma anche per mettere alla prova le possibilità di un nuovo tipo di politica, che cerca di attivare i semplici cittadini per gestire le politiche pubbliche.