Nella sua «eNews» di Natale al partito Democratico Matteo Renzi respinge l’accusa del movimento 5 Stelle: la legge di stabilità non è fatta di «marchette»: «Chi lo dice ha nostalgia del passato» sostiene. Scambi ispirati al lessico della prostituzione. A quanto pare, per Renzi, «in passato» c’è stato spazio per tali pratiche in parlamento. Per i Cinque Stelle o Brunetta di Forza Italia è quello che accade oggi. Dibattito altissimo.

Una manovra fatta di «bonus» e «mance»: questa è l’accusa del Corriere della Sera, domenica scorsa ci ha fatto l’apertura del giornale. Macché, Renzi nega tutto. A Sergio Rizzo, e Dario Di Vico, che hanno firmato gli attacchi a Palazzo Chigi e al Mef di Padoan risponde: «Hanno nostalgia del malus». Battute criptiche a misura di tweet che non fanno ridere

Discriminazione all’italiana

Dal dibattito – si fa per dire – manca una riflessione sul senso di una misura simbolica per il renzismo: quella dei 500 euro riservata ai 18enni italiani e stranieri provenienti da un paese dell’Unione europea, ma non ai loro coetanei figli di genitori extra-comunitari nati in Italia, gli italiani di seconda generazione, e di tutti gli altri ragazzi che frequentano le scuole.

Una «leggina razziale» è stata definita da Andrea Maestri (Alternativa Libera-Possibile) la mancia elettorale (in primavera si vota) riservata agli italiani e non a chi non ha la cittadinanza. Queste persone non votano, dunque non contano per il mercato della politica. «Discriminazione di stato», una «misura anti-costituzionale», «non il segno migliore per un’integrazione». «Sul piano culturale è un segnale bruttissimo» ha detto Nunzio Galantino, segretario generale della Cei.

Il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd) si è reso conto dell’autogol da brividi del governo ma ha escluso per il momento un ripensamento al Senato. Non sembra esserci spazio tra gli 839 emendamenti da spulciare in un giorno in commissione Bilancio. La legge di stabilità sarà approvata entro il 23. Per rimediare alla mancetta razziale si punta, forse, sul milleproroghe. La ministra per i rapporti con il parlamento Maria Elena Boschi ha ammesso il problema: si vedrà cosa fare.Al momento ci sono poche idee, molto confuse, e nessuna soluzione. I 500 euro non sono stati estesi a tutti i 18enni perché il Pd non ha voluto irritare le opposizioni. Questo emerge dai retroscena parlamentari.

Ius soli all’italiana

La discriminazione di stato, anche un po’ razzista, si inserisce in un dispositivo più ampio visto all’opera negli imbarazzi e nell’esclusione praticate dalla legge sulla cittadinanza, il cosiddetto ius soli all’italiana. Un compromesso al ribasso, è stato definito il testo. Le associazioni degli italiani di seconda generazione (si stima siano 500 mila), avrebbero voluto eliminare l’obbligo per uno dei due geni­tori di pos­se­dere la carta di sog­giorno. Si tratta di un docu­mento dif­fi­cile da otte­nere. La pubblica amministrazione può far valere un potere discrezionale assoluto sul soggetto che chiede il riconoscimento di un suo diritto: chi nasce in Italia – o è arrivato in questo paese  in tenera età o in età scolare- è italiano.

Nella legge sullo ius soli esiste un’altra norma discriminatoria basata sul censo e la proprietà. Il criterio del reddito che introduce una discriminazione di censo nell’accesso alla cittadinanza: non deve essere inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale (448 euro per 13 men­si­lità), devono vivere in una casa che risponda ai requisiti di idoneità previsti per legge (anche igienico sanitari) e anche superare un test di conoscenza della lingua e della cultura italiana. In più, i genitori devono essere “non pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato”. Chi è povero, chi è figlio di un lavoratore in nero, chi vive in emergenza abitativa, o in un’occupazione abitativa, o chi è figlio di persone che hanno avuto a che fare con la giustizia vivrà in una cittadinanza condizionata.
Chi va a scuola e nel 2016 compirà 18 anni subirà un’altra discriminazione, questa volta in prima persona: non avrà i 500 euro di Renzi.

 

Reddito di base, perché no?

Nella politica renziana del consenso, fondata su bonus e mance, vige la legge dei 500 euro per la “cultura”. Tanto avranno gli insegnanti dei 18enni italiani per andare (insieme?) al cinema o al museo. L’Anief ha fatto notare che sarebbe stato meglio dare questi soldi ai ragazzi che vogliono iscriversi all’università, considerato il crollo delle immatricolazioni in atto dall’inizio della crisi.Per gli insegnanti i 500 euro sono una beffa. Rappresentano una misura sostitutiva del contratto di categoria fermo dal 2009. Il governo intende aumentarlo di pochi euro e preferisce mettere i soldi fuori busta paga. L’intento è svuotare il contratto e i suoi diritti, preferendo l’erogazione diretta ai singoli.

Il populismo di questa misura è evidente. In più c’è una novità: il governo vincola la spesa di queste risorse a un mercato (teatro, libri, cinema), cancellando l’autonomia del beneficiario che potrebbe usarle per la sua formazione, ma anche per altre esigenze vitali per la sua esistenza (il mutuo, le spese per l’asilo dei figli ecc). Le risorse erogate con il contratto lo permetterebbero. La politica dei bonus renziani no.

Nell’erogazione a pioggia di risorse, per fini legati a una «lotta contro il terrorismo» (il bonus Irpef da 80 euro andranno alle forze dell’ordine), il governo in realtà sta rispondendo come peggio non potrebbe a un’esigenza urgente: il reddito minimo per gli studenti, legato alle esigenze di studio o di formazione. Si tratta di una misura esistenti in molti paesi, richiesta dalle organizzazioni studentesche peraltro, ridotta a un provvedimento a sostegno dei «consumi culturali», cioè ai gestori dei cinema, ai distributori di spettacoli o agli editori in crisi di vendita.

Mai, invece, considerare i ragazzi – come gli adulti – soggetti di diritto meritevoli di un sostegno universale: per lo studio, contro la precarietà o la disoccupazione, vale a dire i principali motivi per cui si erogano garanzie di questo tipo. Per Renzi questi sono «bonus», non diritti. Chi la pensa diversamente, pensa «malus».