I residenti di Barcellona sono stufi degli affitti illegali attraverso piattaforme di economia collaborativa come Airbnb o HomeAway. A settembre due attivisti dell’Assemblea de Barris per un Turisme Sostenible (Abts), uno dei movimenti anti-gentrificazione della capitale catalana, hanno prenotato un appartamento sulla piattaforma Airbnb. Hanno preso le chiavi, sono entrati nell’appartamento e hanno chiamato il municipio chiedendo un’indagine sulla proprietà. Gli ispettori hanno accertato che il proprietario dell’appartamento affittava su Airbnb altre quattro case, non rispettava i criteri di una normale attività imprenditoriale, dunque non pagava le tasse. Al proprietario è stato vietato di continuare ad affittare.

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È l’ultimo episodio di una lotta senza quartiere a Barcellona, il quinto mercato al mondo per gli affitti di Airbnb, uno dei campioni della sharing economy. Nel 2015 la piattaforma ha messo in contatto 9.200 proprietari con 889 mila ospiti, con un fatturato di 740 milioni di euro. «Tutti devono rispettare le regole – sostiene la sindaca di Barcellona Ada Colau – Non è giusto che le piattaforme su Internet diventino un modo per evadere le tasse e proteggere il turismo illegale». «Se per la legge qualcuno affitta in nero è giusto punirlo, e saremo lieti di rimuoverlo dalla piattaforma», ha risposto Arnau Munoz, amministratore delegato di Airbnb per Spagna e Portogallo. Il comune di Barcellona è impegnato in una lotta senza quartiere contro gli affitti illegali. Come quello dello Stato di New York, dove il governatore Cuomo deve decidere entro domani su una stretta contro gli affitti brevi, prevede multe salatissime in caso di violazione. Le compagnie rischiano penalizzazioni fino a 600 mila euro, oltre ai 30 mila che hanno dovuto pagare.

Sono alcune delle conseguenze prodotte dall’irruzione sul mercato immobiliare della multinazionale del capitalismo di piattaforma AirBnb. Ad esempio a New York, il primo mercato dell’azienda, il governatore dello Stato Mario Cuomo ha tempo fino a domani per ratificare la legge del Senato contro gli affitti brevi online. Le legge li proibisce per meno di 30 giorni per edifici con più di tre appartamenti. Airbnb intende vietare ai padroni di casa di affittarne più d’uno e a versare le tasse per gli affitti «short term». Più vicino a noi c’è Firenze e la Toscana. La giunta Rossi ha da pochi giorni licenziato una riforma che potrebbe cambiare le condizioni per 10 mila persone che operano su un mercato deregolamentato. Chi affitterà per più di 90 giorni in un anno sarà obbligato ad aprire la partita Iva e diventare ufficialmente imprenditore turistico. Svolgerà un vero e proprio lavoro e non, come oggi, un’attività da tempo libero basata sulla proprietà diretta o indiretta di un bene come la casa. Il limite dei 90 giorni è stato adottato per distinguere chi cede i posti letto saltuariamente, ottenendone soltanto un’integrazione al proprio reddito, e chi ne trae un introito da primo reddito. Non sarà il numero delle camere che si affittano, quanto la durata dell’attività a determinare se si è «imprenditori» o meno. In questa cornice l’imposta di soggiorno dovrebbe diventare obbligatoria, mentre oggi esiste solo un accordo tra il comune di Firenze e Airbnb che regola il pagamento. La legge regionale arriva a una sistemazione anche di questo aspetto.

Barcellona è il quinto mercato di Airbnb e i dati possono essere letti, nei particolari, su un osservatorio meticoloso su questa esperienza: Inside Bnb. Nella città catalana si è formata una singolare esperienza di movimento che richiama alcune caratteristiche dei movimenti anti-gentrificazione spiegati qui da Sandra Annunziata, ricercatrice che li studia insieme a Loretta Lees, tra le massime esperte internazionali del tema.

Per Daniel Pardo, esponente del movimento Abts, il problema non è solo quello della regolazione fiscale o della concorrenza tra le multinazionali della sharing economy e quelle tradizionali delle catene alberghiere. Il problema è il diritto alla città di chi vive a Barcellona e le politiche dello spazio urbano. Lo abbiamo incontrato a Roma in un workshop all’università di Roma Tre dove ha raccontato la storia di una piattaforma politica nata da un anno e mezzo e composta da 30 collettivi di quartiere. «Continueremo con queste azioni in tutti i quartieri dove Airbnb si è insediata. I proprietari che affittano i loro appartamenti, spesso più di uno, hanno drogato il mercato degli affitti a Barcellona. Più del 60% di chi affitta ha più proprietà, molte delle quali affittano in nero. Airbnb è una piattaforma che permette di gestire queste proprietà in maniera speculativa. La sharing economy è un’ideologia del marketing, non è collaborativa, ma speculativa».

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Di solito, chiediamo a Pardo, questa economia della condivisione viene salutata come una soluzione alla precarietà dei redditi familiari: affittare una stanza è cool, serve a coltivare i valori dell’accoglienza nel ceto medio impoverito. Cosa c’è che non va in tutto questo? «È un modello interessante ma bisogna liberarlo dall’ideologia che lo avvolge – risponde Pardo – La maggioranza di chi affitta non è composta da famiglie in crisi, ma da professionisti che ristrutturano appartamenti e li affittano. A Barcellona lo fa più del 60% di chi usa Airbnb, in molti altri casi lo fanno al nero. Di questo modello accettiamo lo scambio dei beni senza mercificazione. L’economia collaborativa è diventata invece una politica di liberalizzazione di un mercato immobiliare. I grandi fondi di investimento ne approfittano e comprano case senza affittarle. Così i residenti non hanno più case. Quelle che restano sono affittate ai turisti o sono inaccessibili per l’aumento degli prezzi».

«Nel quartiere gotico di Barcellona oggi ci sono tanti turisti quanti residenti: 15 mila persone ciascuno – racconta Agustin Cocola, autore del libro El Barrio Gótico de Barcelona. Planificación del pasado e imagen de marca, esperto di movimenti anti-gentrificazione – Il rapporto si invertirà tra qualche anno: in maggioranza saranno turisti. La città diventa poco smart e si trasforma in tutt’altro: negozi di souvenir, ristoranti, gelaterie, bar ovunque. Come accade in Italia a Venezia, Firenze o nel centro di Roma. Lo spazio pubblico viene privatizzato come il parco Güell di Gaudì: si entra con un biglietto di otto euro. Tranne i residenti della zona, entrano solo i turisti».

Questa trasformazione ha un impatto anche sul mercato del lavoro degli stagionali. Anche per questo a Maiorca sta nascendo un movimento simile a quello di Barcellona. Dall’Andalusia e da altre regioni povere della Spagna sono in molti a lavorare per mesi sull’isola per la stagione turistica. Ormai si affitta con Airbnb e gli alberghi sono in crisi. I redditi da lavoro sono crollati, mentre il prezzo degli affitti è aumentato. Queste persone hanno come unica fonte di reddito la stagione e quindi si adattano. Dormono per strada o nei giardini, affittano balconi. Questa estate il comune ha affittato il palasport per farli dormire per terra.

«La nostra proposta è la decrescita del turismo, regolazione degli affitti, fiscalità e diritti del lavoro – continua Pardo. La sindaca Colau ha fatto un regolamento sugli alloggi turistici. Ha stabilito le zone dove non si danno licenze in centro, a certe condizioni le danno in periferia. È una soluzione insufficiente. Bisogna operare in direzione della decrescita, non dello spostamento dei turisti di quartiere in quartiere. Questo spostamento di notte fuori dal centro non impedirà di tornare in centro di giorno riversandosi sui mezzi, nelle strade, nei bar che hanno trasformato la città in un parco giochi».