«Aprite la stazione!» e «Angela! Angela!» sono stati i cori scanditi ieri dai migranti che hanno affollato la piazza situata di fronte alla stazione Keleti. Un doppio cordone di agenti di polizia è stato posto a guardia dell’ingresso principale dello scalo ferroviario interdetto dal giorno prima ai migranti che hanno continuato a manifestare la loro rabbia a fronte di una partenza che non viene concessa. «Germania! Germania!» continua a essere l’invocazione dei sostenitori della protesta che vedono nel paese governato dalla Merkel la possibilità di iniziare una nuova vita. «Ho lasciato la Siria per scappare dalla violenza e dalla miseria» dice un giovane che come la maggior parte dei migranti accalcati in piazza Baross vuole andare in Germania; «Là penso di potermi rifare un’esistenza», aggiunge. «Germania! Solo Germania!» gli fa eco un altro siriano col figlio piccolo che ai fotografi mostra un foglio di carta con su scritto “Help Syrians”. Il padre non parla inglese ma fa capire bene dove vuole andare con la famiglia, per ricominciare. Lo fanno capire tutti i manifestanti con le braccia alzate e i battimani a intervalli più o meno regolari per scandire con determinazione gli slogan.

La situazione però non si sblocca e diversi migranti mostrano alle telecamere e in generale alla stampa presente sul posto i biglietti ferroviari che al momento non bastano a consentire la partenza. I siriani si fanno forti delle parole della Merkel a favore di una maggiore elasticità nei loro confronti anche se migranti illegali, ma Budapest sottolinea l’esistenza di regole che impongono ai questi ultimi di aspettare, una volta registrati, l’ottenimento dello status di rifugiati per poter riprendere il percorso fino alla destinazione prescelta. Gli interessati non apprezzano la posizione del governo ungherese che chiude le porte della stazione orientale dalla quale partono i treni per l’Austria e la Germania.

La parola d’ordine per l’esecutivo guidato da Viktor Orbán è sempre più «emergenza». Le autorità ungheresi sottolineano il loro impegno a gestire una situazione difficile e respingono la politica delle quote. «L’Ungheria continuerà a registrare i migranti che entrano nel paese e rimanderà indietro coloro i quali hanno lasciato il loro paese d’origine per motivi puramente economici», ha detto il giovane ministro degli Esteri Péter Szijjártó ai giornalisti a margine di una conferenza su argomenti di carattere economico svoltasi a Bled, in Slovenia. Il capo della diplomazia di Budapest ha posto l’accento sul fatto che il paese è sottoposto alla pressione del flusso crescente di migranti che cercano di entrare in Ungheria per andare più a Ovest e a Nord. «L’Ungheria – ha aggiunto – non accetta il sistema delle quote che incoraggia i migranti e i trafficanti di esseri umani».

Quello che Szijjártó rappresenta non è comunque l’unico stato della regione a respingere la politica delle quote che anche a Bratislava, a Praga e a Varsavia è vista in modo sfavorevole. L’Unione europea sta studiando una procedura basata proprio sul sistema in questione su scala europea nella prospettiva di superare il regolamento di Dublino e la proposta dovrà essere valutata dal consiglio dei ministri dell’Ue la cui riunione è prevista per il 14 settembre. I paesi dell’area centro-orientale sono stati criticati da diversi leader occidentali per la loro scarsa propensione a contribuire all’accoglienza dei migranti. Il Gruppo di Visegrád, formato da Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia, converge sul rifiuto dell’approccio comunitario al problema sempre più complesso degli ingenti flussi migratori che interessano l’Europa. Il vertice dei primi ministri del Gruppo, in programma venerdì, promette di essere, dal punto di vista dei governi interessati, l’occasione di rinsaldare il fronte del no al sistema delle quote. Stasera il primo ministro Orbán ha in programma una visita a Bruxelles per consultarsi con Juncker e non si esclude che al premier ungherese venga offerta la possibilità di avvalersi di uno schema per i ricollocamenti come nei casi dell’Italia e della Grecia.

Il lavoro delle diplomazie europee è quindi in pieno svolgimento alla ricerca di un difficile approccio comune al problema. Intanto a Budapest l’attesa di fronte alla stazione Keleti continua ed è un’attesa sempre più snervante per i migranti e per la capitale i cui abitanti si trovano ad assistere ad uno scenario inconsueto, e del resto il fenomeno ha assunto da tempo proporzioni più che ragguardevoli. L’inquietudine diffusasi in città non impedisce comunque l’esercizio della solidarietà: ieri di fronte alla stazione è comparso un cartello con scritte in ungherese e in inglese che, tenuto da una ragazza a portata di fotocamere dicevano «Siamo tutti uguali. Anch’io sono una migrante», e ieri sera, nel centro di Budapest, ha avuto luogo una manifestazione animata dallo stesso spirito e promossa da Migration Aid, Amnesty International Ungheria e da altre organizzazioni della società civile.