I Pokémon sono esseri virtuali antropomorfi. Eredi tecnologicamente più avanzati degli eroi di Walt Disney. Grazie a un’applicazione, frutto della collaborazione tra Nintendo e Google, sono diventati l’oggetto di una caccia al tesoro mondiale. Il loro inseguimento, attraverso i cellulari, è un fenomeno di massa che va in scena nei luoghi più impensabili: da una strada in pieno traffico a una seduta analitica.

L’ambizione teorica che sorregge la caccia ai Pokémon è fondata sul concetto della «realtà aumentata»: l’espansione virtuale del mondo reale. Questo concetto, inconsistente dal punto di vista epistemologico, la dice lunga sulla confusione mentale che convive, e si diffonde, con lo sviluppo della rivoluzione digitale. La realtà è infinita: non può aumentare né decrescere. La nostra esperienza e conoscenza di essa è limitata e nessuna estensione virtuale può annullare questo limite. La compenetrazione tra realtà virtuale e realtà materiale, l’ambizione dei cacciatori di Pokémon, ci porta sul piano di una complessità molto grande che mostra tutta la povertà concettuale del pensiero «tecnologico».

La differenza tra realtà virtuale e realtà materiale è incancellabile. È la condizione non solo della nostra sanità mentale, ma anche della nostra incolumità fisica. Di questo i persecutori di esseri virtuali se ne potrebbero accorgere facilmente, e catastroficamente, se nel momento di pieno fervore catturante capitasse loro di uscire di strada mentre guidano la macchina. Ciò che solitamente definiamo come compenetrazione tra realtà virtuale e realtà materiale, ha a che fare con la sospensione della percezione dei loro confini. Tale sospensione coincide con la sospensione parziale o totale, in condizioni di sicurezza, del rapporto materiale con il nostro habitat naturale: nel sogno e nell’attività immaginativa.

Le difficoltà a cui incorriamo quando usiamo il termine «realtà virtuale», dipendono dal fatto che designa due modi opposti di relazionarsi alla natura: abitarla con i nostri desideri, creando le condizioni materiali e emotive che lo consentono, o negare i limiti al narcisismo e all’onnipotenza che essa impone, rifugiandosi in un mondo fantastico. Sognare, immaginare la realtà naturale per scoprire i punti in cui si apre alle nostre possibilità di goderne e di amarla, trasformandola e usandola in accordo con le nostre più intime necessità, è la ragione del nostro esistere. Il sogno in azione, che attraversa i confini tra la notte è il giorno, non pretende di sostituirsi alla realtà naturale (animata o inanimata): la rende vivibile e godibile. Territorio intermedio tra la soggettività e le sue condizioni oggettive è la trama virtuale che lega l’essere umano al supporto materiale della sua esistenza.

La pretesa di dare alla dimensione virtuale consistenza materiale (di fare dell’allucinazione una percezione reale), che appare come tentazione folle di fare dell’essere umano un Dio che crea la realtà, rappresenta un’estrema difficoltà ad accettare le destabilizzazioni psichiche a cui espone la ricchezza, indissociabile dall’imprevedibilità, del nostro rapporto con la natura. La rappresentazione infantile antropomorfa degli animali è parte di un processo di «civilizzazione» degli «istinti»; esprime, al tempo stesso, un’identificazione con la loro spontaneità e immediatezza. L’inseguimento dei Pokemon è un’astrazione dalla vita vera, un’identificazione inconsapevole con l’inerzia della materia inorganica, un (auto)alienazione. L’illusione di catturare l’elemento alieno del proprio mondo interno è la negazione del fatto reale di essere presi nelle sue maglie.