La prima conclusione sulla Setta di Lamma Island è la seguente: quando si parla della Setta di Lamma Island si tende a perdere la memoria. La prima volta che li ho visti erano sulla spiaggia, nella piccola arena del villaggio Bayan Tree Bay. Lamma Island è una tra le tante isole vicino a Hong Kong. Dall’ex colonia britannica dista solo venti minuti in ferry. Alcune delle zone di Lamma si possono raggiungere solo in barca. Altre attraverso dei sentieri. La spiaggia della Bayan Tree Bay è piccola, di sabbia fina, con alcune palme situate qua e là. Di fronte il mare, a lato lei: la centrale elettrica di Lamma Island.Quelli della Setta li ricordo vestiti di bianco, ma secondo D. erano vestiti di nero. All’epoca non c’era ancora Leftover e può essere che il mio ricordo oggi sia traviato dalla successiva fiction e dai suoi protagonisti vestiti di bianco e sempre con la sigaretta in bocca o in mano. La memoria non è certo il ripostiglio della verità.

Strane abitudini

Sia io sia D. ricordiamo perfettamente un dettaglio: gli uomini e le donne della Setta avevano i capelli lunghissimi. Avremmo poi scoperto che non tagliarsi mai i capelli costituisce una conditio sine qua non per entrare a fare parte o rimanere nell’organizzazione. La prima volta che li avvistammo erano tre e il fatto che avessero i capelli così lunghi non ci sembrò una cosa strana, nonostante i morigerati abitanti di Hong Kong. L’ex isola britannica passerà pure alla storia come una città maledetta, e per certi versi lo è, ma custodisce al suo interno un rigido conservatorismo, forse ancora succube del dominio inglese. La spiaggia era praticamente deserta, loro tre erano in silenzio, guardavano il mare con le labbra raccolte in un muto sorriso. Io ero poco distante, mentre guardavo in lontananza la centrale elettrica, che rendeva tutto il panorama una sorta di terra dei Simpson, ma asiatica: mare, frutta, frullati, passeggiate e panorama post nucleare. La centrale di Lamma Island: costruita nel 1982, va a gas e carbone.
L’acqua del mare era sporca; in quella spiaggia non avrei fatto mai il bagno. Lamma Island appariva placida e tranquilla, specie se paragonata a quanto aveva così vicino, la Cina. Ma per un genovese che qualche mese prima era stato a Urumqi, la città più lontana dal mare del mondo, la vista di quell’acqua equivaleva a una rivelazione mistica. E quindi – trasognante – interpretai la presenza di quelle persone come un segnale inequivocabile. Lamma Island sarebbe stato il posto perfetto per riposarsi e godersi un po’ di pace.
Da una prima osservazione durata un paio di giorni, la Setta sembrava avere orari ben precisi: tutte le mattine alle 7 si radunava in spiaggia. Poi si ritirava nelle ore più calde, per tornare al mare verso il tardo pomeriggio. Mi pareva che ogni giorno aumentassero di numero. Ma non è che io e D. potevamo stare tutto il tempo lì, almeno non all’inizio, a guardare queste persone con i capelli lunghi vestiti tutti di bianco, ma più probabilmente di nero.

Lamma-Island-Fish-Farms
L’isola di Lamma è un fantastico paesaggio percorso da piccole strade e senza macchine: si può girare l’isola – un’area di tredici chilometri – interamente a piedi, scegliendo alcuni percorsi, molte dei quali ora sono in salita ora in discesa, stuzzicati da piccoli templi e sguardi a strapiombo meravigliosi. Pare sia stata una sorta di paradiso degli hippies, benché fatichi a immaginarlo. Secondo i quotidiani di Hong Kong negli ultimi anni sarebbe stata vittima di una «urbanizzazione selvaggia», con la creazione di appartamenti per ricchi. Una «colata di cemento» che secondo la sezione «Travel» della Cnn, «avrebbe definitivamente mutato il paesaggio di un posto che negli anni scorsi era famoso per gli spinelli e l’amore libero». Sarà. Lamma Island rimane un fantastico rifugio, ancora oggi. Specie per i benestanti di Hong Kong e i ricchi cinesi. In alcune piccole insenature su timide montagne sul mare ci si può rinfrancare all’ombra di minuscoli chiostri, in attesa dello strappo successivo. In quei giorni trovammo lì famiglie, escursionisti in solitaria, quasi tutti cinesi. Come già detto, il grande pregio dell’isola è quello di essere a solo a venti minuti di ferry da Central, da Hong Kong.

Nell’ex colonia britannica, sul pier designato, si radunano molti abitanti dell’isola che sfruttano la vicinanza con la metropoli per approvvigionarsi. Il mare a me è parso sempre tranquillo e il tragitto è vissuto dagli ospiti del ferry con la consuetudine di qualche fermata di un autobus. Lamma ha una strada asfaltata: quella che conduce alle spiagge più facilmente utilizzabili e che parte dall’attracco dei ferry da e per Hong Kong. Questa via è costellata di centinaia di piccoli ristoranti di pesce. E a Lamma Island ci si può stroncare di crostacei, soprattutto aragoste, il piatto più rinomato dell’isola.

Qualcosa da scoprire

Gli uomini e le donne della Setta nei ristoranti non li abbiamo mai visti. Neppure in quello che ci pareva il luogo più «vicino» a loro, a questo apparirci un po’ ascetici, o almeno così ci era sembrato: un piccolo locale bio, vegano probabilmente. Deserto o quasi sempre deserto. Una sera abbiamo deciso di andare lì a cena. Camminando abbiamo cominciato a parlare della Setta. Siamo finiti in un ristorante di pesce, dove appena seduti abbiamo ordinato un piatto di vongole. A quel punto ci siamo accorti di esserci dimenticati del nostro intento precedente: andare nel localino bio, vegano probabilmente. Nei giorni successivi queste amnesie si sono ripetute e allora ci convincemmo che la causa fosse la Setta, perché capitavano sempre mentre discutevamo di loro chiedendoci ora questo ora quello.

Una sera D. prese la decisione: ci avrebbe parlato. Io ero sul mini terrazzo dell’ostello che ci ospitava: un posto decente ma niente di che. Ero appena tornato da Hong Kong dove avevo comprato un Mac. Smanettavo alla ricerca di rete, quando guardando verso la spiaggia vidi D. seduta in cerchio insieme a quelle persone vestite di bianco o più probabilmente di nero. Parlavano, D. annuiva.
Io osservavo e speravo che prima o poi D. volgesse verso di me lo sguardo. Avrei potuto fare qualche segnale, capire se aveva bisogno di aiuto o se invece avrei potuto, o dovuto, unirmi anche io all’allegra brigata. Ero curioso. Sotto di me c’erano altri di loro. Tutti maschi. Erano seduti nel loro mini cortile, abitavano al primo piano del nostro stesso ostello, e leggevano tomi giganteschi. I caratteri erano cinesi tradizionali. Non so perché, ma pensai subito: Falung Gong. «Cazzo, il Falun Gong no». Quelli in Cina sono pure «pericolosi», perché la loro setta, o gruppo politico, era stato vietato dopo una clamorosa manifestazione del 1999. Talvolta in Cina sulle banconote ci sono dei loro messaggi. Altre volte qualche pazzo lasciava volantini all’interno del compound dove vivevamo a Pechino. Chiusi il Mac e aspettai. Poco dopo D. mi fece segno di scendere, ci sedemmo in spiaggia e mi raccontò.

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Nei giorni successivi con quelli e quelle della Setta ci salutammo sempre molto cordialmente. Ci si diceva «ni hao» in cinese, loro erano sempre sorridenti. Talvolta qualcuno diceva qualcosa a D. Venimmo a conoscenza della loro origine: Taiwan. Non ci sorprese: da tempo in Cina – e Taiwan e Hong Kong – è un diluvio di questo tipo di organizzazioni. La storia recente non ha concesso cardini troppo solidi e prima che Confucio riconquisti il posto che gli spetta nel cuore di queste persone, qualsiasi credenza va bene, purché dia un senso a una stramba esistenza tra «estremi». Sull’isola di Lamma non so bene di che senso razionale o mistico sentissero il bisogno gli appartenenti alla Setta, ma tra quelle piccole strade, mini grotte e incisioni che non avremmo mai capito, c’era qualcosa per cui valeva la pena fare di Lamma la prima tappa di un percorso verso il cuore del mondo: la Cina.

Smarrirsi in metro

A un certo punto io e D. tornammo a Hong Kong, per rimetterci sulla strada di Pechino. Alla stazione Prince Edward cominciammo a parlare di alcune caratteristiche della Setta e finimmo per perderci. Nel senso che io andai in una direzione, lei in un’altra. Il dramma fu il seguente: D. aveva il mio cellulare e il mio computer, io avevo il suo passaporto. Nella stazione avevo scelto di scendere le scale. Arrivato in fondo mi ero accorto di non avere più D. al mio fianco. A lei, capitò lo stesso, dopo aver preso l’ascensore. Appena mi accorsi della sua assenza, il treno fermo in stazione partì. Mi convinsi che D. fosse lì sopra. Presi quello successivo e mi diressi al confine con Shenzhen.
Arrivato non c’era traccia di D. Mi recai subito al punto informazioni e chiesi di fare un annuncio, proprio mentre lo speaker stava dicendo che qualcuno cercava me con tanto di nome e cognome, e maglietta che indossavo, a Prince Edward. D. era lì, con poliziotti di Hong Kong che un po’ sospettosi le stavano raccontando che «talvolta nelle metropolitane di Hong Kong avvengono episodi anche molto spiacevoli». Alla fine ci ritrovammo alla frontiera. Decidemmo di non parlare della Setta di Lamma Island per qualche tempo.

 

Le altre pagine di Per terra e per mare uscite:

1 – Iain Chambers, La schiavitù galleggiante

2 – Marco Bascetta, Il naufrago testimone

3 – Giuliana Misserville, Liquide sponde di piacere

4 – Angelo Arioli, Un miraggio all’orizzonte

5 – Laura Fortini, Un apprendistato di lotta e grazia

6 – Michela Pasquali, I giardini fluttuanti

7 – Andrea Capocci, Il business genealogico

8 – Tommaso Ariemma, La tentazione dell’isola assoluta

9 – Tiziana Migliore, Comunita di folli alla deriva