Appena il giorno precedente il governo ucraino aveva fatto appello alla popolazione a lottare per l’indipendenza del paese, limitando il consumo di gas. L’arresto, nella giornata di venerdì, della reversione di gas russo da parte dell’Ungheria, aveva fatto temere il peggio a Kiev.

Poi, in serata, da Berlino era arrivato l’annuncio dell’accordo raggiunto nel corso dei colloqui Mosca-Kiev-Ue, sul pagamento di parte del debito ucraino sul gas alla Russia – 2 mlrd $ entro fine ottobre e 1,1 mlrd $ entro fine anno – senza attendere l’arbitrato di Stoccolma sulla rimanente parte del debito. Ieri poi il Ministro russo per l’energia Aleksandr Novak ha detto che al prossimo incontro a tre, il 2 o 3 ottobre, è molto probabile che venga sottoscritto il cosiddetto “pacchetto invernale”, per le forniture di gas russo all’Ucraina, interrotte lo scorso giugno. In sostanza, per i prossimi 6 mesi, Gazprom dovrebbe pompare verso il vicino occidentale 5 mlrd m3 di gas (fabbisogno minimo, contando su un clima mite), a un prezzo concordato di 385 $ per mille m3, con pagamento anticipato.

Da parte sua il capo di Gazprom Aleksej Miller, ha però dichiarato che la questione del saldo dei debiti ucraini non è del tutto chiara, dato che il Ministro ucraino per l’energia Prodan (curiosamente, significa Venduto) avrebbe insistito per il pagamento di 1,5 mlrd $ solo al termine del primo mese di fornitura. Non resta che attendere.

E dal Donbass notizie luttuose si accavallano con altre che lasciano trasparire un po’ di speranza. Se, secondo l’ONU, allo scorso 11 settembre erano circa 3.500 i civili uccisi dall’inizio della guerra e oltre 8.000 i feriti, ieri la leadership di Lugansk ha dichiarato che, nella soila città, 400 civili sono rimasti uccisi e oltre mille feriti. Dalla Repubblica di Donetsk informano che, in vista del nuovo incontro del Gruppo di contatto a Minsk, la prossima settimana, verrà di nuovo affrontata la questione dello scambio di prigionieri. Scambio interrotto ieri, da parte delle milizie, che denunciavano Kiev di liberare persone che nienete hanno a che fare con le milizie.

E, comunque, ieri per la prima volta, rappresentanti delle milizie e delle forze armate ucraine, presenti osservatori di Russia e Osce, hanno parlato dell’arretramento delle rispettive forze, a partire da una frontiera “potenziale” tra Ucraina e Novorossija, previo l’abbandono dell’aeroporto di Donetsk da parte dei soldati di Kiev. Questo, mentre mezzi blindati governativi venivano inviati verso la frontiera russo-ucraina.

Sul fronte opposto, ieri, mentre a Mosca “Madri di Russia” e “Associazione nazionale dei genitori” si raccoglievano in ricordo dei civili uccisi nel Donbass, a Kiev e in numerosi capoluoghi dell’Ucraina sudorientale si tenevano marce per la pace nel Donbass. Nella capitale, per dire no alla guerra contro Novorossija hanno marciato circa tremila persone, a quanto sembra, senza incidenti. Così non è andata a Zaporozhe e a Kharkov, dove la manifestazione era stata vietata. A Kharkov la polizia ha arrestato 23 persone, per la maggior parte militanti del PC Ucraino, da tempo oggetto di violenze da parte di bande neofasciste e sempre sull’orlo della messa fuori legge.

Secondo Itar-Tass, gli slogan scanditi a Dnepropetrovsk, Nikolaev, Odessa erano “No alla Nato”, “Meglio una brutta pace che la guerra”, “Washington, smetti di lacerare il paese”. A Kharkov la manifestazione è stata dispersa dalla polizia, con l’ausilio di mezzi blindati. Quasi tutti i 700 manifestanti sono stati caricati sui cellulari. Ancora in tarda serata il primo segretario provinciale del PC Alla Aleksandrovskaja era chiusa in camera di sicurezza, accusata, secondo il Ministro degli Interni Arsen Avakov, di “aver violato il divieto di questo meeting antiucraino” e le strade della città, secondo l’annuncio Ministero degli Interni, venivano pattugliate da autoblindo.