Sono in corso a Milano le sfilate delle collezioni moda donna per la primavera/estate 2015. Ancora prima che cominciasse, la stagione si è auto annunciata decisiva per le sorti dell’economia mondiale e della moda, pronta alla rimonta creativa perché forte dei risultati economici incoraggianti.

Il 2015 dovrebbe essere l’anno della ripresa definitiva. Se non si tiene conto delle guerre, delle epidemie, delle sicurezze acquisite che cadono come birilli in un bowling appena qualche farfalla in giro per il mondo scuote le ali con un battito un po’ più forte. In questa incertezza, la moda ha promesso di diventare un punto di riferimento, se non altro perché, crisi economiche e diplomatiche a parte, si tratta di un’industria fiorente e di un mezzo di trasporto del bello e dell’ottimismo.

E sarebbe buona cosa se questo bastasse a calmare gli animi almeno in Occidente, che è la parte del mondo, ad eccezione del Belpaese, che spende volentieri i propri averi per rinnovare il guardaroba. Se non che, sia pure a metà del percorso, la moda italiana si presenta a questo appuntamento con la creatività del recupero.

Sarà l’insicurezza, sarà che quando non si hanno molti stimoli al confronto è sempre meglio ripercorrere vecchie strade piuttosto che sperimentarne nuove, per la primavera del prossimo anno la tendenza che si sta affermando con più forza è quella del Vintage Reborn.

O meglio, del nuovo creato adesso ma che sembra fatto anni fa. E cioè, il ripescaggio degli Anni ’70. La tendenza è francamente spiazzante anche perché, tra gilet pachwork, frange di camoscio, jeans che si allargano verso il fondo o che si fermano a metà gamba e aspetti rock che fanno rivivere i Seventies, nelle loro parole i designer negano che si tratti di un ripescaggio o di una citazione di quegli anni. Tranne Ennio Capasa di Costume National che dice: «fondendo rock n’ roll e couture minimalista torno ai ’70 ma per azzerare tutto e ripartire da capo».

Ma i rischio è che il cammino per il futuro, diventi troppo lungo. O troppo veloce per recuperare il tempo perso a tornare indietro per prendere la rincorsa. Al contrario, Miuccia Prada, che percorre strade più autonome e solitarie, si distacca dagli anni e considera le epoche, fino a indagare non i decenni ma l’antichità, ponendosi una domanda: «Come può nascere qualcosa di nuovo dall’incontro/confronto fra l’antichità e l’oggi?». Così, Prada lascia stare le forme della moda e per la nuova collezione usa il broccato, tessuto antico, come strumento di inchiesta.

La scorsa estate un news magazine francese ha messo il busto di Platone in copertina con lo strillo: «Il suo pensiero è ancora di attualità?». Le vendite in edicola sono andate benissimo, e ciò dimostra che la società attuale ha un problema reale: non produce pensiero. La moda è soltanto lo specchio lustrato di questa società e al momento, quella che donne indosseranno fra un anno si divide in due: da una parte c’è il dejà vu, dall’altra gli abiti di Prada.
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