Il presidente israeliano Reuven Rivlin ieri è stato categorico. «Il voto nel Consiglio di sicurezza Onu è stato uno schiaffo alla pace, alla verità», ha detto. Al contrario la risoluzione approvata dal CdS ha riaffermato la verità: Cisgiordania, Gaza e zona Est di Gerusalemme sono territori occupati militarmente da Israele nel 1967.

E COME POTENZA occupante Israele non può insediarvi la sua popolazione civile. Firmando gli Accordi di Oslo del 1993 Israele ha accettato di definire in «negoziati finali» con i palestinesi lo status di Gerusalemme, quindi riconosce che per il diritto internazionale non ha valore la sua decisione unilaterale, presa con un voto della Knesset 35 anni fa, di annettersi e proclamare sua capitale l’intera città, incluso il settore arabo. Lo stesso vale per le Alture del Golan, annesse unilateralmente come Gerusalemme: erano e restano un territorio siriano occupato nel 1967. I fondatori di Israele accettarono il piano di spartizione della Palestina storica del 1947 che non includeva nello Stato ebraico Gerusalemme, la Cisgiordania e Gaza (e altre importanti porzioni di Palestina). Tutto ciò che è avvenuto in seguito sul terreno è frutto solo di guerre e conflitti armati e non di negoziati e accordi tra le parti. Ed è vero il contrario anche quando il capo dello stato Rivlin sostiene che «La decisione di portare Israele al Consiglio di Sicurezza Onu è sbagliata nel cercare di imporre precondizioni». Perché è Israele che ha creato realtà sul terreno allo scopo di imporre precondizioni come le sue colonie nei territori palestinesi che ha occupato nel 1967.

QUELLO IN ATTO è uno scontro tra chi afferma la validità del diritto internazionale, che vale per tutti, senza eccezioni, e chi invece pensa che il diritto internazionale sia superato, privo di valore e che debbano prevalere i fatti compiuti sul terreno, imposti con la forza. Questo scontro dal Palazzo di Vetro si sposta ora alla Conferenza di Parigi, convocata per il 15 gennaio. Un appuntamento con i rappresentanti di una settantina di Paesi che i francesi hanno organizzato con l’obiettivo di rilanciare, a un livello multilaterale, il negoziato tra israeliani e palestinesi che nella sua formula bilaterale si è rivelato fallimentare. Il governo di Benjamin Netanyahu ha già bocciato senza appello l’iniziativa e il ministro della difesa Lieberman due giorni fa è arrivato al punto di descriverla come un nuovo Processo Dreyfus che non vedrà sul banco degli imputati un solo ebreo ma l’intero Stato di Israele.

PROPRIO sull’appuntamento di Parigi è intervenuto ieri da Ramallah il presidente dell’Anp Abu Mazen per chiedere che l’incontro si concluda con l’annuncio di un calendario per l’indipendenza palestinese e preveda uno stop effettivo delle costruzioni coloniali israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. «La decisione (presa dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu) dimostra che il mondo rifiuta gli insediamenti (israeliani), in quanto sono illegali. Pone le basi per una futura trattativa seria e apre la strada alla conferenza di pace internazionale che si terrà a Parigi il mese prossimo», ha detto Abu Mazen commentando per la prima volta pubblicamente la risoluzione approvata la scorsa settimana alle Nazioni Unite con l’astensione Usa.

NETANYAHU rifiutando la conferenza di Parigi ha invitato Abu Mazen a incontrarsi per colloqui diretti, quindi ancora bilaterali, senza precondizioni. Il presidente palestinese ha detto di no, a meno che Israele interrompa prima la costruzione delle colonie. Il premier israeliano – come ha detto esplicitamente – pensa che Barack Obama stia organizzando altre “sorprese”. Il suo timore è che alla conferenza del 15 gennaio, cinque giorni prima dell’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump, entusiasta sostenitore di Israele, il presidente uscente approvi a Parigi a nome degli Stati Uniti una risoluzione che indirizzi la comunità internazionale verso un rifiuto ancora più deciso delle mosse unilaterali compiute da Israele.

INTANTO OGGI la municipalità israeliana di Gerusalemme darà il via libera a un piano che prevede la costruzione di 618 nuove case nelle colonie nella parte palestinese, occupata, della città: 140 a Pisgat Zeev, 262 a Ramat Shlomo e 216 a Ramot.