Attentati incendiari e dinamitardi, omicidi, tentati omicidi, lettere minatorie, aggressioni, danneggiamenti a beni di proprietà pubblica e privata, autovetture incendiate (anche più d’una contemporaneamente), colpi d’arma da fuoco a persone o cose, proiettili recapitati. È questo il linguaggio della paura, l’alfabeto del terrore scelto dalla criminalità per intimorire gli amministratori, in particolare i sindaci. Nei primi 5 mesi di quest’anno sono stati ben 180 gli amministratori minacciati. Le regioni più colpite sono la Calabria con il 27% degli episodi, la Sicilia (il 20%) la Campania (il 18%), e a seguire Puglia e Sardegna. Ma il fenomeno è presente in altre 15 regioni italiane: dalla Lombardia al Piemonte, dalla Liguria all’Emilia Romagna, dal Veneto al Lazio, passando poi per Abruzzo, Marche e Molise.

E oggi gli amministratori scendono in piazza per la prima volta chiamati a raccolta da Avviso Pubblico, a Polistena, nella piana di Gioia Tauro.

«La Calabria nel 2016 è la terra più bersagliata, per questo abbiamo scelto di organizzare in quei luoghi la “Marcia degli Amministratori sotto tiro” – ha sottolineato il vice presidente di Avviso Pubblico, Paolo Masini- ma la Calabria è anche una terra dove ci sono tanti amministratori che resistono, tanti esempi di buona politica, tanti giovani sindaci impegnati in prima linea». Il coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, Pierpaolo Romani, nell’illustrare i dati ha affermato: «Le statistiche dei primi cinque mesi del 2016 confermano un aumento degli atti intimidatori in particolare nel Mezzogiorno e, per quanto riguarda le ultime settimane, durante il periodo delle campagne elettorali. La stragrande maggioranza degli amministratori e dei candidati resiste, ma alcuni fanno un passo indietro, dimettendosi o ritirandosi dalla competizione. È fondamentale che le comunità sentano le minacce come un problema collettivo e che le istituzioni intervengano prontamente con adeguati strumenti di protezione e sostegno».

Solo mafia? La domanda chiave è se dietro questa mole di episodi possa leggersi la mano della criminalità organizzata e in che misura. Il rapporto “Amministratori sotto tiro” segnala come dietro numeri così elevati ci sia di tutto. I dati non permettono di dare risposte sostenute da elementi certi. È possibile tuttavia provare ad indicare alcune connessioni. Intanto, esiste una relazione ma non assoluta tra atti intimidatori e scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose.

Nel 49% dei casi uno dei motivi posto a base del provvedimento dissolutorio delle amministrazioni è proprio legato ad episodi di intimidazioni contro amministratori in carica e candidati (episodi di intimidazione sono stati registrati anche contro commissari prefettizi chiamati a reggere le amministrazioni di comuni disciolti). Nondimeno, le modalità di alcuni episodi, i luoghi di svolgimento, la ripetitività dei fatti, sono tutti elementi che inducono a pensare che in molti casi non si tratta di gesti isolati, di qualche cittadino più o meno esasperato, di buontemponi armati di mitragliette o capaci di confezionare ordigni di elevata potenza. Altro elemento che induce a sospettare della longa manus delle mafie è la connessione prevalente (ma non assoluta) tra periodo elettorale (regionali e amministrative) e aumento degli episodi di intimidazione.

Offesi, aggrediti, minacciati con lettere minatorie contenenti anche proiettili. Accoltellati, picchiati, bastonati. Si spara alle loro case, si incendiano le loro auto e quelle dei loro famigliari. Si usano ordigni esplosivi. Si bruciano gli uffici comunali e i mezzi pubblici.

Oggi i sindaci scendono in piazza per dire: ora basta. Anche in nome di Peppe Valarioti, uno dei figli migliori di questa sventurata terra, che diceva: «Se non lo facciamo noi chi lo deve fare?». L’hanno ucciso a Rosarno l’11 giugno del 1980, il giorno della vittoria dei comunisti alle amministrative.