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Gli occhi di chi non ci abita non possono vedere bene. Rischiano la miopia, gli sguardi obliqui, la messa a fuoco dell’inquadratura sbagliata. Perché a Scampia, dicono i ragazzi che lì passano la loro infanzia e adolescenza, c’è ’o bbuono e o’ malamente. Non tutto quel che accade in quel microcosmo ad alta densità umana rimanda a una discarica sociale.

Certo, c’è qualcuno che, come Raffaele, si sveglia ogni mattina chiedendosi «Quanti ne uccideranno oggi?». E non è un ritornello da sfaccendato, né una domanda retorica: è un interrogativo vero, perché qualsiasi giornata di Scampia può cominciare con il sole che batte tra le case e rende il cuore leggero, passare per il brusìo dei bambini che giocano a pallone per strada o nelle piazze, e finire nel sangue. Storie di camorra e spaccio che prendono il sopravvento. O anche regolamenti di conti per faide famigliari.

Però chi ci abita tiene molto a raccontare anche altri momenti, meno cupi, a volte spensierati, più quotidiani. Sprazzi di vita vissuta che fanno «comunità»: i bei ricordi sono un potente argine alla malavita – «a Scampia non c’è solo droga e paura, c’è anche un mondo», sostengono in molti. Il libro di Raffaele Sivolella, Inferno e paradiso, edito dalle Edizioni Progetto Cultura (pp.112, euro 12), parte dalle voci dei ragazzi e ragazze che lì conducono la loro esistenza e lì frequentano la loro scuola, la Vittorio Veneto, istituto professionale alberghiero in cui chi studia «tenta di dare una voce positiva» al suo quartiere, come scrive Carlo.

L’autore (che all’attività di scrittore unisce quella di formatore) ha raccolto le testimonianze di sedici adolescenti – alcuni più grandi, già fuori dalle classi – conducendo un laboratorio con loro, grazie anche alla disponibilità della preside Olimpia Pasolini. Il risultato è un diario polifonico dove agli incendi procurati dai mafiosi per incutere terrore si alterna la baldanza ottimista dei ragazzini che per andare a giocare a calcio attraversano campi infestati da siringhe, schivando «zombie» e mettendosi magari le cuffiette per reagire all’angoscia con la musica. Molti, però, come Lucia, non accettano che Scampia sia nominata solo per fatti criminali. In quei palazzi delle Vele, succedono tante cose, «ci sono molte persone perbene, che si guadagnano da vivere onestamente e hanno un cuore grandissimo».