A Nagato, località termale nella prefettura di Yamaguchi, il premier giapponese Shinzo Abe ha aspettato per più di due ore l’arrivo del suo ospite, Vladimir Putin. Una piccola attesa in confronto ai 70 anni che i due paesi hanno aspettato per firmare un trattato di pace.

Proprio in vista di questo ambizioso traguardo la diplomazia giapponese ha preparato l’incontro a lungo. Abe ha dichiarato di voler vedere la firma del trattato «entro questa generazione» e ha abbandonato la tradizionale posizione giapponese di non trattare separatamente aspetti politici ed economici della questione.

LE ASPETTATIVE GIAPPONESI sono state molto alte e il lavorio diplomatico intenso. I due leader si sono già incontrati quattro volte nell’ultimo anno. Certo Abe non ha offerto a Putin solo un bel bagno caldo e una cena di pesce. Sul tavolo delle trattative, svoltesi a Tokyo il venerdì, ci sono accordi commerciali ed economici in vari settori nel solco degli 8 punti lanciati a maggio.

GLI INVESTIMENTI giapponesi si concentrano nell’estremo oriente russo, una regione dove la Cina ha già investito molto e ha una massiccia presenza di emigrati, tanto da generare timori per gli equilibri demografici a Mosca. Così, gli investimenti nipponici rappresentano un benvenuto riequilibrio rispetto a Pechino. Il Giappone arriva, però, nettamente in ritardo e resta molto scetticismo sulle concrete possibilità di investimento diretto delle imprese giapponesi, oltre ai già garantiti fondi di stato.

L’ostacolo principale alle trattative è rappresentato dalla questione territoriale lasciata in sospeso dal 1945, quando l’Unione sovietica occupò alcune isole giapponesi della catena delle Kuruli durante gli ultimi giorni della guerra. Il Giappone ne pretende la restituzione come condizione alla firma del trattato.

I DUE LEADER HANNO DISCUSSO, in un lungo incontro privato nella terra natale di Abe, della questione. La parte più complessa del dibattito, lo status giuridico delle attività economiche congiunte da svolgere sulle isole, è stata, però, rinviata ad un gruppo di esperti. Il Giappone non vuole che si svolgano sotto la legislazione russa per non riconoscerne la sovranità. Si pensa, così, ad un diritto speciale. Nulla di concreto però è stato deciso e un adetto stampa russo ha negato che si sia parlato di sovranità.

La questione riguarda in particolare i 17.000 abitanti dalle isole che furono allora espulsi e la cui età media è oggi di 81 anni. Il Giappone pretende che essi non chiedano visti per visitare le isole e le tombe dei loro avi, poiché anche questo costituirebbe riconoscimento implicito della sovranità russa. Gli espulsi hanno potuto visitarle solo con permessi speciali.

LE DUE PARTI FURONO VICINE a un accordo nel 1956, quando Mosca acconsentì alla restituzione di due delle quattro isole reclamate dal Giappone, ma la pressione statunitense non ne permise la firma. La lunga ombra del gigante americano ancora si proietta sulla questione: ora come allora Russia e Usa sono in una fase di attrito. Così, l’incontro non è considerato una visita di stato per accomodare le pressioni di Washington. Putin, infatti, non ha incontrato l’imperatore come vorrebbe il protocollo.

Le difficoltà sono enormi. Putin ha più volte negato la disponibilità alla cessione della sovranità delle isole, considerando tutte le offerte giapponesi in termini di costruzione di fiducia e le sanzioni internazionali a cui il Giappone si è associato costituiscono un evidente ostacolo. Le cose potrebbero cambiare se la nuova amministrazione Trump si riavvicinasse alla Russia. Quel che è certo, è che Putin riesce ad uscire dall’isolamento diplomatico. Abe e Putin hanno deciso di riaprire un dialogo diretto, chiamato in gergo diplomatico «2 + 2», tra i rispettivi ministri della difesa e degli esteri. Il futuro delle relazioni tra i due paesi migliora sul versante diplomatico, ma Putin ieri è volato via e per il trattato di pace c’è ancora da aspettare. Resta la fiducia, per chi ci spera.