«Se Israele vuole combattere la seconda Intifada di Al Aqsa, allora deve cooperare con la persona che accusa di terrorismo». Non ha dubbi il giornalista israeliano Shlomi Eldar. Solo la ripresa del dialogo con il presidente palestinese Abu Mazen può ricucire la situazione sempre più lacerata a Gerusalemme, ha scritto qualche giorno fa. Un suggerimento che il premier Netanyahu e molti dei suoi ministri difficilmente accoglieranno.

 

Abu Mazen, il dirigente palestinese che più di ogni altro Israele ha desiderato vedere alla guida dell’Anp, ora è descritto come un sobillatore, addirittura un sostenitore di attentati e violenze, perchè lancia appelli alla protezione della Spianata delle moschee e condanna l’espansione delle colonie ebraiche nella zona araba di Gerusalemme. «E’ il risultato dell’istigazione compiuta da Abu Mazen e Hamas. Una istigazione che viene irresponsabilmente ignorata dalla comunità internazionale», ha commentato Netanyahu tre giorni fa dopo l’attacco palestinese in una sinagoga di Har Nof in cui sono stati uccisi quattro rabbini e un agente di polizia. Oltremodo pesanti sono state le parole di Naftali Bennett, ministro dell’economia e leader ultranazionalista: «Abu Mazen è tra i più grandi terroristi palestinesi. Ha la responsabilità per il sangue ebreo versato…ha dichiarato guerra ad Israele e, pertanto, dovremmo comportarci di conseguenza». E chi ha provato a dare un giudizio più obiettivo del presidente palestinese è stato sommerso da critiche e rimproveri. Come Yoram Cohen, capo dello Shin Bet (sicurezza interna) che alla Knesset ha spiegato che «Abu Mazen non incoraggia il terrorismo neanche di nascosto…né conduce (il suo popolo) al terrorismo».

 

Per i palestinesi l’attacco del governo israeliano ad Abu Mazen ha un preciso scopo politico e diplomatico. «Netanyahu usa le tensioni e le violenze di questi giorni per distruggere la legittimità internazionale di Mahmud Abbas (Abu Mazen) – spiega Ghassan Khatib, analista e docente all’università di Bir Zeit – perchè il presidente (palestinese) con il suo approccio moderato è riuscito a costruirsi una reputazione di leader pragmatico, aperto al dialogo e favorevole all’accordo di pace». Secondo Khatib la credibilità di cui gode Abu Mazen, anche negli Stati Uniti, spaventerebbe Netanyahu. «Al premier israeliano – spiega – fa più comodo avere di fronte un leader palestinese ritenuto dalla comunità internazionale fautore della violenza. Perchè questo gli permette di giustificare le sue politiche che bloccano i negoziati, a cominciare dall’espansione delle colonie». Khatib ricorda che lo scorso aprile, quando è fallita la mediazione tra israeliani e palestinesi svolta dal Segretario di stato John Kerry, «per la prima volta gli Usa ha puntato l’indice contro Israele e non contro i palestinesi e questo – prosegue l’analista – ha accresciuto i timori di Netanyahu che, peraltro, ora vede governi e parlamenti europei riconoscere lo Stato di Palestina». Distruggere la credibilità di Abu Mazen, conclude Khatib, serve anche per ostacolare l’iniziativa dell’Olp al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per la creazione di uno Stato palestinese indipendente entro il 2016.

 

La lettura di Khatib trova in totale disaccordo Shmuel Sandler, docente al Centro “BESA” per gli Studi Strategici di Tel Aviv, secondo il quale il leader dell’Anp ha effettivamente perduto ogni legittimità. «Abu Mazen non è come Yasser Arafat che appoggiava apertamente il terrorismo – afferma – però non frena chi vuole praticare la violenza. Dal punto di vista israeliano ormai è una figura marginale».

 

Governi e parlamenti europei però continuano l’uno dopo l’altro a riconoscere lo Stato di Palestina nei Territori Occupati (Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est). L’ultimo riconoscimento è avvenuto l’altra sera, con il voto favorevole del parlamento spagnolo. Il 2 dicembre voteranno i deputati francesi. L’Italia invece frena. Il capo della Farnesina, il ministro Gentiloni, ha detto al suo omologo palestinese Riyad Al Malki, ieri a Roma, che la questione del riconoscimento della Palestina sarà valutata dall’Italia al momento «opportuno e più utile» per rilanciare il negoziato tra israeliani e palestinesi, che resta, ha aggiunto, la priorità per Roma.