Abbiamo raggiunto al telefono ad Erbil Rabun Maruf, capogruppo nel parlamento del Kurdistan iracheno di Goran, partito di opposizione al governo del Kdp di Barzani.

Qual è l’obiettivo del presidente Barzani a Mosul? I peshmerga combattono con i governativi ma le diverse visioni sul futuro della città sono già palesi

Da una parte c’è il governo centrale di Baghdad che con l’operazione intende riannettere la città e la sua periferia allo Stato iracheno. Dall’altra Erbil: i peshmerga hanno stretto con l’esercito governativo una collaborazione ufficiale, oggi solida ma domani problematica. Le contraddizioni si paleseranno al momento di decidere chi gestirà Mosul: le agende dei vari attori sono in contrasto tra loro, tenendo conto che quest’operazione è parte del più ampio conflitto mediorientale. Impossibile lasciare questi scontri alle spalle quando si combatte a Mosul: assisteremo allo scoppio di un conflitto più vasto tra Stati Uniti e Russia sul piano internazionale e tra Iran e Turchia su quello regionale.

A proposito di Turchia, Ankara non nasconde affatto l’intenzione di controllare la città nel post-Isis.

La Turchia ha una lunga storia a Mosul: prima della nascita del moderno Iraq quest’area era parte dell’impero ottomano e c’è, nell’establishment turco, chi ancora ritiene che debba tornare in qualche modo, diretto o indiretto, sotto il controllo turco. Un vecchio sogno che si ripresenta oggi sotto forma delle truppe turche dispiegate nel nord della città e sotto forma dell’agenda di Ankara: limitare il ruolo sciita a sud e lungo tutto il confine orientale di Mosul.

Per questo Ankara ha stretto accordi con il Kdp, il partito del presidente kurdo Barzani, per un’intesa sul futuro di Mosul. Economicamente gli accordi sono già in essere e ruotano intorno alle condutture di greggio che dai territori kurdo-iracheni porteranno petrolio in Europa via Turchia. Politicamente sono segreti, quanto deciso nello specifico da Erdogan e Barzani resta sconosciuto. Ma è un’agenda con dei nemici potenti: il governo centrale iracheno, sì, ma soprattutto l’Iran. Non è da escludere che dopo la liberazione di Mosul Barzani sia costretto a tornare da Baghdad. Noi, come Goran, se sosteniamo le forze peshmerga perché liberino persone occupate e sotto assedio, siamo convinti che debbano essere i cittadini di Mosul a decidere per il proprio futuro e per il proprio governo. Non dovremmo interferire nelle loro scelte.

Qual è il clima interno al Kurdistan iracheno in questo periodo? Esattamente un anno fa esplosero dure proteste contro le politiche economiche del Kdp e in molti vedevano nella lotta all’Isis un modo per generare paura e dunque zittire il dissenso.

Il sentimento nazionale è favorevole ai peshmerga ma restano forti le proteste contro il governo Barzani: molti sono convinti, tornando agli accordi con la Turchia per la vendita di greggio, che buona parte delle entrate economiche energetiche vadano nelle tasche dell’élite economica e politica, clan corrotti, e non al popolo. A Sulemaniya, in particolare, continuano le manifestazioni per i salari non pagati ai dipendenti pubblici, mentre a Dohuk e Erbil prevale la paura: la natura dittatoriale del governo kurdo, che si traduce spesso in aggressioni fisiche (anche armate), da parte delle forze di sicurezza, fa sì che tanti abbiano timore a esprimere le proprie opinioni o a manifestare.

Un’ultima domanda sul Pkk e l’aggressione della Turchia: Erbil sta dando il suo appoggio ad Ankara. Continuerà su questa linea?

Con il governo turco che combatte il Pkk senza soluzione di continuità, Erbil si scontra con il movimento di Ocalan sia in merito al futuro di Rojava che al controllo delle zone nord, lungo l’invisibile confine tra Pkk e Kdp. Per questo temo che, dopo la liberazione di Mosul, un conflitto armato tra Pkk e Kdp possa esplodere.