Quando l’accordo sul nucleare iraniano è ormai pronto iniziano a sorgere nuovi dubbi.

Sebbene scada oggi il penultimo termine per arrivare ad un’intesa (l’ultima data disponibile sarebbe il prossimo 30 giugno), sembra ripetersi il consueto scenario degli ultimi due cruciali appuntamenti per chiudere oltre dieci anni di embargo contro l’Iran. Questa volta sarebbe la Francia, uno dei sei paesi (Consiglio di sicurezza Onu e Germania) che negoziano per concedere a Tehran il diritto di andare avanti con il suo programma nucleare a scopo civile e chiudere la pagina delle sanzioni internazionali, a fare i capricci.

Insomma, un accordo potrerebbe essere di portata storica e condurre alla normalizzazione della Repubblica islamica, alla sua piena inclusione nella comunità internazionale e disinnescherebbe il famoso scontro settario tra sciiti e sunniti, o meglio tra Iran e Arabia Saudita, creato dagli Usa per spaccare il Medio oriente con la guerra in Iraq del 2003.

Già nel novembre 2013 fu il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius a fare da eco alle posizioni oltranziste del premier israeliano Benjamin Netanyahu per fermare la sigla di un accordo che sembrava già pronto. E la storia sembra ripetersi con Parigi che frena gli entusiasmi e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che lascia il round negoziale di Losanna per fare rientro a Mosca.

Prima di partire, Lavrov ha chiesto a tutti i negoziatori uno sforzo per arrivare ad un’intesa dopo oltre due anni di incontri bilaterali e intense mediazioni.

Vari sarebbero ancora i temi in discussione. Per dieci anni Tehran sarà sotto la lente di ingrandimento costante dell’Agenzia per l’Energia atomica (Aiea) dopo di che vedrà alleggerirsi i controlli gradualmente nei cinque anni seguenti.

Le autorità iraniane spingono, in secondo luogo, per la fine delle sanzioni internazionali insieme all’approvazione dell’intesa: Stati uniti e Francia sono per una cancellazione in varie fasi di un embargo che rimarrebbe sull’import-export di tecnologia nucleare.

Per quanto riguarda le attività di arricchimento, i negoziatori avrebbero definito una potenziale tempistica di «breakout» per la conversione militare del materiale fissile di circa un anno. Lo scopo è di permettere all’Aiea di intervenire in tempo in caso Tehran venisse colta in flagranza di estensione del suo programma nucleare civile.

Tre sono le ipotesi in campo invece in merito al numero di centrifughe nelle disponibilità di Tehran: riduzione di circa il 40% del modello Ir-1 attualmente in funzione, fissando un limite di circa 6 mila unità, o fino a 9 mila se una quota significativa di uranio arricchito al 5% venisse spedita in Russia e convertita in barre di combustibile nucleare.

Ieri Tehran ha fatto sapere però di non concordare su questo punto e di opporsi alla spedizione di questo materiale verso Mosca. Una terza soluzione comporterebbe una riconfigurazione delle centrifughe nucleari, finalizzata a ridurre le capacità di arricchimento.

D’altro canto, per mesi Tehran ha puntato sulla rimozione completa delle sanzioni. Se questo è possibile con una risoluzione per le misure stabilite in sede Onu e per quelle vigenti in Europa, gli Stati uniti dovranno passare per un voto del Congresso che potrebbe determinare la bocciatura della maggioranza di Repubblicani da mesi impegnati a far fallire l’intesa.

Il presidente degli Stati uniti, Barack Obama, che nel dicembre scorso aveva persino ipotizzato la possibilità della riapertura dell’ambasciata Usa a Tehran, ha ribadito che non accetterà un cattivo accordo. La sigla di un’intesa sarebbe il suo principale successo in politica estera.

Da parte loro, le guardie rivoluzionarie non sembrano voler scendere a patti con il «nemico». Proprio ieri hanno denunciato l’uccisione di due loro uomini in Iraq da parte di un drone Usa.
Ali Yazdani e Hadi Jafari erano impegnati nel conflitto contro lo Stato islamico per la liberazione dai jihadisti della città di Tikrit. E proprio il ruolo che l’Iran può avere e già sta ricoprendo nei principali conflitti regionali dall’Afghanistan alla Siria, dallo Yemen all’Iraq dovrebbe spingere alla fine dell’isolamento internazionale.

Se i colloqui fallissero, gli sforzi negoziali saranno archiviati, i tecnocrati iraniani indeboliti e i principali conflitti in Medio oriente saranno esacerbati da un Iran di nuovo messo all’angolo.