Judith Malina era piccola piccola eppure quando arrivava in scena la sua presenza sembrava occupare la sala intera: le sedie degli spettatori, i corridoi, l’esterno come se la sua voce, e quel suo corpo minuto avessero per sempre superato le barriere non solo tra chi «recita» e chi «guarda» ma dello spazio intero, e del tempo reinventandoli con la dolcezza combattiva della sua poesia.

Adesso Judith Malina se ne è andata, aveva 88 anni, e da qualche tempo viveva in una casa di riposo per anziani attori, la Lilian Booth Actors Home. Il Living aveva perso la sua sede su Clinton Street, a New Yok, non riuscivano più a pagare l’affitto nonostante l’aiuto degli amici, come Yoko Ono o Al Pacino. Era una vecchia storia, lo raccontava anche lei che il Living aveva avuto sempre difficoltà, ma Judith che aveva sperato fino all’ultimo in qualche finanziamento. Diceva: «Qui sono gentili, io però non so vivere in un istituto. In America gli anziani sono dimenticati». E forse con lei è stato messo da parte anche un modo di essere, di intrecciare l’arte e la vita, di sperimentarle alla prima persona.

Sul New York Times di ieri, che a Judith Malina dedica un lungo e bell’articolo, colpisce l’inizio: «Per quelli che non sono vecchi abbastanza da ricordare i beatniks, Lenny Bruce, le proteste contro la guerra del Vietnam, Judith Malina era un’attrice nella serie dei Soprano dove interpretava zia Dottie». Niente di strano, i tempi cambiano, e Malina col suo tempo, attraverso gli anni ci si era sempre confrontata non senza scontri pesanti. Ma solo così nel Sessantotto Judith Malina e Julian Beck potevano scuotere il teatro (e il mondo) con uno spettacolo come Paradise Now. Scandalo a Avignone, scandalo in America. Dentro vi entrava con prepotenza il Maggio parigino con le sue barricate, gli scontri di piazza, il desiderio impossibile dei suoi sognatori di un’utopia ora e subito, di un paradiso che è fine del capitalismo, dei proibizionismi, gioia e cibo per tutti, sensualità, amore e pace, corpi nudi e liberati che si fondono.

Certo, era forse irripetibile questo sogno di teatro (e del mondo) che li ha resi molto amati – e molto criticati – che gli è costato censure, prigione, persecuzioni senza che si arrendessero, sfidando anche la dittatura in Brasile.

Malina però continuava a essere un riferimento importante per le nuove generazioni teatrali, almeno qui. Per esempio l’incontro tra lei e i Motus, da cui è nato uno spettacolo intenso, in scena era insieme a Silvia Calderoli, la loro magnifica interprete, due età lontane e vicine nel sentimento e nel racconto di una (possibile) utopia. Lo spettacolo si chiamava The Plot is the Revolution, rimando a Paradise Now, e si chiedeva se nel nostro «assopito occidente» si può ancora immaginare un rovesciamento.

Rivoluzionario è la definizione privilegiata per il Living sin dagli inizi, e in particolare per loro due, Judith Malina e Julian Beck. Ma rivoluzionari lo erano davvero, per quel essere teatro e vita senza retorica nel quotidiano, in un gesto artistico che sperimentava una possibile pratica rivoluzionaria.

Judith Malina era nata a Kiel, in Germania, nel 1926, famiglia ebrea, i suoi genitori erano emigrati in America dopo la sua nascita. Lei frequenta la scuola di teatro di Erwin Piscator, ha vent’anni quando incontra Julian Beck. Insieme condividono la stessa passione, e l’idea di un’arte con cui si può radicalmente reinventare il mondo. Nel 1947 fondano il Living, e mettono in scena al Village di New York un testo di Gertud Stein: Doctor Faustus Lights the Lights. «Crediamo che il teatro sia un luogo di intense esperienze, tra sogno e rito, in cui lo spettatore coglie un lampo di conoscenza di sé» scrivono qualche anno dopo. Il teatro (e il corpo, la parola) nelle loro mani di anarchici e pacifisti diventa un’arma unica, potente, e per questo li considerano subito pericolosissimi.

Nell’America degli anni Cinquanta di boom, ottimismo, controllo Malina e Beck scuotono i loro spettatori mescolando perfomance e poesia, Eliot e Cocteau: rompere le convenzioni del linguaggio teatrale significa anche rompere l’ordine sociale.

Nel 1959 mettono in scena The Connection, la giornata di un eroinomane, poi The Brig, la violenza tra i marines. E Antigone sul valore della legge. Finiscono sotto processo si difendono da soli.

Anche per questo parlare del Living significa parlare di tutta la controcultura, The Connection diventa un film di un’altra sublime provocatrice, Shirley Clark e così The Brig diretto da Jonas Mekas mentre Bertolucci li vuole nel suo episodio di Amore e rabbia, Agonia. Nell’85 Beck muore, Malina continua il suo lavoro, e le sue battaglie.

Nell’88 sposa Hanon Reznikov, anche lui presenza storica del gruppo. I loro spettacoli criticano la guerra del golfo, le speculazioni a Wall Street, Malina continua a essere nel tempo che vive, lucidamente critica e battagliera, pacifista e rivoluzionaria. Fino alla fine.