Se ne è andato qualche giorno dopo Leonard Cohen, come se la sua morte, silenziosa, fosse solo una nota a pie’ di pagina della storia della musica popolare statunitense. Ma non lo era. Leon Russell, figura centrale della musica americana degli anni Settanta, spentosi serenamente a 74 anni a Nashville, ha attraversato la storia e le vicende di quello che continuiamo a definire rock’n’roll con passione, intelligenza e autorità, lasciando un segno indelebile. E non si tratta solo di A Song for You, brano interpretato da decine di artisti estremamente diversi fra loro, ma di un patrimonio fatto di gusto e senso per l’avventura nel quale la passione per il country ha sempre dialogato con quella per il soul e il blues.

Leon Russell per anni è stato considerato soprattutto un musicista per musicisti. Un autore apprezzato soprattutto fra colleghi e pari. In realtà, a osservare la sua corposa discografia, si scopre un intero universo di musica e canzoni che ha lasciato una traccia profonda, importante nel canone della canzone e della musica statunitense. Collaboratore e complice di musicisti come Joe Cocker e George Harrison, ha saputo lasciare un’impronta inconfondibile in imprese che hanno determinato la sensibilità di un’intera epoca. A distanza di quasi mezzo secolo la folle carovana di Mad Dogs and Englishmen potrà sembrare una mera bizzarria post-Woodstock ma il tasso di follia e di creatività, di cui Leon Russell fu l’artefice principale, resta l’apice della carriera di Joe Cocker.

Il sogno di una festa mobile permanente, senza barriere e senza limiti, spinta a velocità folle sul baratro dell’autodistruzione, immersa nel bagno rigeneratore delle grandi tradizioni musicali americane, segna per sempre la carriera di Joe Cocker che impiegherà anni a riprendersi dalla devastante e geniale furia creativa dell’impresa. Musicista in grado di dialogare con sensibilità diverse dalla sua, Russell abbraccia con entusiasmo il progetto del concerto per il Bangladesh di George Harrison di cui sarà il responsabile musicale. La sua versione di Jumpin’ Jack Flash ha poco da invidiare all’originale dei Rolling Stones e le sue collaborazioni con i Badfinger meriterebbero addirittura una nota a parte.

Anche un eccellente musicista come George Benson deve a Russell uno dei maggiori successi della sua carriera, quella This Masquerade che compare nell’album Breezin’. Eppure, nonostante un magnifico album omonimo e dischi del calibro di Carney e Hank Wilson’s Back, già verso la fine dei ’70 Russell comincia poco alla volta a eclissarsi. Attraverso il suo alter ego Hank Wilson firma egregi dischi di musica country e con Willie Nelson incide un doppio album di standard. Sarà Elton John, suo ammiratore da sempre, a riportarlo sotto la luce dei riflettori, quando ormai la sua voce, sempre magnifica, manifesta anche qualche crepa.

The Union, disco firmato in tandem con John e prodotto da T. Bone Burnett, è un lavoro magnifico che permette a Leon Russell di reclamare il suo posto nel pantheon della musica americana. Solo quanti sono pregiudizialmente contro Elton John hanno mancato di riconoscere il valore di The Union cui Russell avrebbe fatto seguito con Life Journey, titolo che chiude degnamente una carriera unica ed esemplare.