Giovedì,19 gennaio Nino Caruso ci ha lasciato. Era nato nel 1928 e fino alla fine è stato attivo e brillante. Nello scorso settembre l’editore Castelvecchi ha pubblicato l’ultimo libro di Nino, dal significativo titolo «Una vita inattesa». Nessuno agli inizi degli anni ’50 avrebbe potuto pensare che l’operaio tornitore Nino Caruso sarebbe diventato un artista di fama internazionale, tra i ceramisti più di successo dei nostri tempi, con mostre negli Stati Uniti, in America Latina e anche in Giappone.

E ora, in questo triste giorno, non posso non ricordare la fine degli anni ’40 quando a Tripoli, in Libia, Nino e io diventammo comunisti e compagni molto affiatati: facevamo lavoro di organizzazione e propaganda, sostenendo contro la maggioranza degli italiani la necessità di fare della Libia uno stato indipendente. Vale ricordare che questa nostra posizione fu nota a Gheddafi che, poi, invitò me a visitare la Libia, cosa che feci con grande piacere, una volta venne con me anche Nino.

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Questo nostro comune impegno politico in Libia durò sino agli ultimi mesi del 1951, quando l’amministrazione militare inglese che allora governava la Libia fece arrestare Nino, me altri e tre compagni, e ci rispedì in Italia, dove tornammo a fare i comunisti e Nino cominciò a frequentare Villa Massimo, dove allora avevano studio artisti importanti come Guttuso e anche il ceramista Meli, con cui Nino cominciò a prendere contatto con la ceramica, un’arte nella quale Nino è diventato un protagonista di fama internazionale.

A Roma continuammo a tenerci in contatto. All’inizio ci si incontrava alla sezione del Pci di via Catanzaro. Poi, fino agli ultimi mesi, andavo a trovarlo nel suo elegante studio di piazza San Salvatore in Lauro e ci dicevamo che tutto sommato l’essere comunisti ci ha aiutati.

Se non fossimo stati espulsi da Tripoli Nino sarebbe rimasto un tornitore, io un avvocaticchio.

Grazie alla BMA (British Military Administration) Nino è diventato un artista di successo noto anche all’estero e io un giornalista del Manifesto.

Nino è radicato nella mia memoria. Un forte abbraccio ai figli Stefano e Andrea e a tutti i tanti amici di Nino.

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