Si parte dall’Eden, dal paradiso perduto, in Se chiudo gli occhi non sono più qui di Vittorio Moroni, e si prosegue con alterne vicende sulla strada della vita disseminata di problemi e dolori in quel lasso di tempo, l’adolescenza, che sembra interminabile. Protagonista è Kiko (Mark Manaloto) italo filippino con il ricordo del padre scomparso in un incidente stradale (Ignazio Oliva) quando lui era piccolo, a ricordargli i pochi momenti di tenerezza e complicità della sua vita. Ora la madre (Hazel Morillo) ha un nuovo compagno (Beppe Fiorello) capo cantiere che gestisce un pugno di operai stranieri al nero, brusco e concreto, che vuole trasmettergli i doveri di un «vero uomo», e come prima indicazione lasciar perdere la scuola e guadagnarsi il pane in cantiere. Il ragazzo infatti dopo la scuoal lavora tutto il pomeriggio mentre cerca di studiare come può nelle poche ore libere. Cerca rifugio in un bus abbandonato dove ha raccolto i suoi ricordi, libri, oggetti, fotografie del padre. E durante il pranzo insieme agli altri operai, ha modo di osservare altre tipologie di vita, scene in cui si fa largo il gusto documentaristico del regista, un tocco che tende a sfumare nella finzione, a prendere strade estreme, anche se tenute insieme dalla recitazione accorta di tutti gli interpreti (Beppe Fiorello una volta tanto in un personaggio che non è un santo o un eroe, Colangeli vero uomo vissuto, Mark Manaloto qui al suo esordio, ma nel frattempo ha già girato due film anche se si prepara ad affrontare ora la facoltà di ingegneria).
Il percorso tenuto da Moroni, incisivo in Le ferie di Licu e Tu devi essere il lupo appare oscillante tra fuga nel passato e realtà, tra passi avanti e regressione, proprio come deve apparire la vita a un adolescente. Non docile ma incapace di cambiare il corso degli eventi, incontra casualmente un amico del padre che si offre in nome di quell’antica amicizia di seguirlo negli studi, così difficili da affrontare in quelle condizioni. Certo non ha intorno la biblioteca di Monaldo quando, in una scena parallela al film di Martone, circondato da scatoloni e attacchi elettrici volanti cerca di tradurre le frasi dal latino (e del resto a un certo punto i canti di Leopardi li butta via e torna in cantiere).
Poi la storia si complica in maniera irreversibile, togliendo al protagonista ogni punto di riferimento. Tutto quello che aveva cercato di costruire, di esplorare, per cui ci vuole un lungo apprendistato, i modelli da seguire e quelli da evitare, la classe di appartenenza, tutto subisce un forte contraccolpo anche dal punto di vista della linearità del racconto – l’amico del padre non è come vuole far credere – e il senso del romanzo di formazione si avvia verso la conclusione con una certa ricerca delle origini e riuscire a vedere le cose senza troppi contrasti.
Un film da accompagnare nelle scuole, dice Moroni, per far parlare i ragazzi sull’assenza dei padri, dei punti di riferimento. Intanto nella prima romana di oggi regista e cast accompagnano il film al Farnese, Madison e Nuovo cinema Aquila, in seguito negli altri spettacoli serali.