L’on. Monica Cirinnà, riferendo al senato martedì 2 febbraio, ha affermato che il progetto di legge sulle unioni civili in nessun modo compromette il divieto di maternità surrogata. Onestamente ho l’impressione che le cose non stiano proprio così.

La legge, recependo alcuni orientamenti giurisprudenziali, sancisce che i partner delle unioni civili potranno adottare il figlio dell’altro, ma non modifica il regime generale delle adozioni. Le coppie omosessuali potranno adottare soltanto il figlio del partner.

Non potranno adottare un bambino in stato di abbandono, o ricorrere all’adozione internazionale, possibilità che restano esclusive delle coppie eterosessuali sposate. Ora, come si sa, nel caso specialmente delle coppie omosessuali maschili spesso il figlio viene da una ‘gestazione per altri’; sicché, stabilire che le coppie omosessuali possono adottare il figlio del partner, ma precludere per il resto l’adozione, significa indicare, specialmente lo ripeto alle coppie maschili, come strada maestra, per soddisfare il loro desiderio di ‘genitorialità’, il ricorso alla surrogazione. In sostanza, la nuova legge dice: andate all’estero, trovate una surrogata, uno riconosce il figlio, tornate ed è fatta. Non avete i soldi? Ecco questo sì, è un problema, vostro. Le cose stando così, si ha motivo di pensare che la nuova legge non tocca il divieto di maternità surrogata nel senso che quel divieto rimane lì a far niente, fittizio e ipocrita come tanti altri inutili simulacri rivestiti di forza di legge, in attesa che, più prima che poi, dopo l’entrata in vigore della legge sulle unioni civili qualcuno affronti il problema per noi. Un ordinamento che permette ai gay l’adozione del figlio del partner, mentre vieta la maternità surrogata e d’altro canto non consente loro di adottare è così patentemente contraddittorio, che non ci vorrà molto prima che Strasburgo, preceduto verosimilmente da qualche sentenza nazionale, ci presenti il conto. E anche con qualche ragione, da un certo punto di vista: così anche i gay che non sono ricchi e non parlano inglese o hanno paura di prendere l’aereo potranno farsi fare un figlio. Infatti che cosa farà, Strasburgo: non potendo condannarci per riservare le adozioni alle coppie eterosessuali, visto che nel nostro ordinamento l’adozione è possibile solo per chi è sposato e il matrimonio resta etero, coglierà l’occasione per dare un bel colpo al divieto di surrogazione, malvisto negli ambienti sovranazionali perché non fa girare l’economia ed è ancorato alla strana idea che ci sia qualcosa di speciale nella maternità, un’idea che agli alfieri globali della parità non può apparire che discriminatoria.

Un’altra cosa che il progetto di legge sulle unioni civili mi sembra destinato – silenziosamente ma effettivamente – a travolgere è il divieto di fecondazione eterologa, che sopravvive nel nostro ordinamento per le coppie che non siano portatrici di malattie trasmissibili, insieme alla condizione per cui alla fecondazione assistita possono accedere solo gli etero. Molte lesbiche ricorrono alle cliniche della fecondazione assistita per avere un figlio: in modo ipocrita, dando da un lato per scontato che esistano coppie lesbiche che hanno figli e pertanto interesse a ricorrere alla stepchild-adoption, ma dall’altro lato vietando loro l’eterologa, la nuova legge le incoraggia al turismo procreativo, laddove nei confini nazionali pone loro limiti, la cui razionalità risulterà molto difficile dimostrare.

Il progetto di legge sulle unioni civili tocca dunque, e come, sia il divieto di surrogazione sia quello di fecondazione eterologa. Si tratta di due divieti connessi, che limitano entrambi la facoltà delle persone, e in specie delle donne, di disporre del loro corpo e delle loro scelte procreative, e pertanto meritano di essere superati en bloc? C’è chi lo pensa, come c’è chi pensa che entrambi hanno invece valore, e dunque vanno conservati insieme. Devono stare o perire insieme per il solo motivo che sono enunciati nella stessa legge, quella sulla fecondazione assistita? Oppure proteggono esigenze diverse, l’uno è più pregevole e interessante dell’altro, e meriterebbe di essere conservato mentre l’altro non? Se, come a me pare possibile, si sostenesse che il divieto di maternità surrogata si traduce in positivo come riconoscimento dell’insostituibilità del legame materno, e della primazia femminile nel generare (chi è a favore della ‘libertà’ di surrogazione si ricordi, almeno, che essa milita contro il diritto di aborto, e significa subordinare a una clausola contrattuale il potere delle donne di fare figli per chi vogliono e alle loro condizioni, che il divieto di surrogazione lascia invece intatto), la sua conservazione non si porterebbe dietro a oltranza il divieto di eterologa, tanto meno la limitazione alle coppie etero dell’accesso alle tecniche riproduttive, ma soltanto una riflessione collettiva più accurata sulle diversità che intercorrono tra donne e uomini, nell’aver figli e in altri campi.

Se il Parlamento italiano considera il divieto di maternità surrogata e il divieto di eterologa due ferri vecchi che qualcuno gli farà il favore di rimuovere per conto suo evitandogli passaggi impegnativi davanti all’opinione pubblica, significa soltanto che esso non ha né il coraggio né l’onestà di abrogarli espressamente e subito. Se li mantiene perché li considera un valore, dovrebbe preoccuparsi di garantire ad essi una tenuta, sforzandosi di inserire l’innovazione che sta inserendo, e cioè le unioni civili, in modo armonico con questi altri istituti che nell’ordinamento già esistono. Personalmente ho a cuore il divieto di maternità surrogata; se anche il legislatore ci tiene davvero, ed è per questo che non lo abroga, lo dovrebbe tutelare nelle sue ricche implicazioni, che sono quelle di valorizzare l’insostituibilità e la dignità della relazione materna per ogni essere umano, e farne, pertanto, un autentico principio ordinatore dei rapporti di filiazione, che dovrebbe spingere il legislatore a formulare espressamente, per esempio, il dovere di chi ricorre alla maternità surrogata di garantire ai figli la possibilità di conoscere l’identità della madre, anche, e specialmente, se è un’analfabeta nepalese trascinata a farsi inseminare mentre il marito intasca il compenso. Il valore di quel principio giustificherebbe senz’altro il riconoscimento alle coppie omosessuali del diritto di adottare, perché, come ripeto, un ordinamento che vieta la maternità surrogata ma ammette l’adozione per i gay darebbe prova di coerenza e potrebbe difendere con successo le sue scelte davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Per ‘non compromettere’ il divieto di maternità surrogata non basta affatto lasciarlo lì, appeso al nulla: bisogna incaricarsi di complesse iniziative sul piano del diritto internazionale volte a contrastare il fenomeno e di una altrettanto complessa e accurata revisione di molti istituti, a partire dall’adozione, del diritto interno. Bisogna, anche, ragionare di più tutti insieme sul se il riconoscere il diritto delle persone omosessuali alla genitorialità debba per forza passare dalla banalizzazione mercificata del materno, e, alla fine del conto, accontentarsi di rappresentare, nella nostra vita collettiva, anziché l’aperto riconoscimento di diverse forme parentali ed espressioni della sessualità e degli affetti, più che altro l’istituzionalizzazione di una serie di rimossi e di non detti (si fa la surrogazione, o l’eterologa, ma non si dice).

Si parla di ‘buona politica’, ci si vanta di esser moderni e si ridacchia dei ‘cattolici oltranzisti’ odiatori della giustizia e del progresso. Ma non c’è, invece, un tantino di gesuitico in questo modo di procedere? E quanto profondi sono le convinzioni democratiche e i sentimenti di eguaglianza di chi afferma di dover procedere a piccoli passi, e zitti zitti, perché l’elettorato, poverino, bove come è, altrimenti non capisce?