Se non fosse stato per il fascismo e i pregiudizi legati alla Questione meridionale e all’emigrazione, forse oggi Paul Porcasi sarebbe se non una star, un attore famoso. Questo ci rivela il suo film d’esordio, il fantasmagorico art deco Broadway di Paul Fejos, una delle tante rarità nella trentesima edizione di Cinema Ritrovato. Tratto da un popolarissimo musical che il siciliano Porcasi aveva interpretato con successo a Broadway, capostipite del genere gangster ma con un intreccio musicale, Broadway elabora il primo collegamento tra contrabbando di alcol e intrattenimento, tra mondo dello spettacolo e criminalità – un’associazione che non deve farsi però pregiudizio automatico.

In Broadway Porcasi interpreta Nick Verdis, il proprietario del Paradise Club in cui sognano di diventare star i protagonisti del film; e il type-casting hollywoodiano lo vedrà spesso nel ruolo dell’impresario, come nella memorabile interpretazione di Apolinaris nel musical cult di Busby Berkeley, Footlight Parade. Ma neppure l’accurato catalogo del festival cita Porcasi nella filmografia di Broadway; non per negligenza, ma perché questa generazione di attori meridionali emigrati è stata marginalizzata dal pregiudizio antitaliano negli Usa e non è mai stata «reclamata» come italiana dal regime, cancellando così l’intera gloriosa storia dello spettacolo italiano nei media americani prima degli anni Settanta.

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Una storia che riguarda anche Francis Coppola (il nonno materno, Francesco Pennino, componeva sceneggiate italoamericane), presente al festival non solo con copie restaurate di Apocalypse Now e Il Padrino nella sezione dedicata a Marlon Brando, ma anche col documentario The Family Whistle di Michele Russo sulla stirpe Coppola vista da Bernalda in Lucania, il paesello natio. A proposito di Brando, da non perdere Un tram che si chiama Desiderio in originale, per apprezzare la sua voce stridula e particolarissima quando grida «Stella!!!» in canottiera, o l’eccentrico western con scenari marini da lui diretto, I due volti della vendetta.

Insomma un gioco di scatole cinesi tra sezioni di un programma fittissimo, che propone più di quattrocento film in otto giorni, il 60% dei quali in pellicola: dai fratelli Lumière (con una mostra fotografica a documentarne la preveggenza tecnologico-figurativa) e la riproposta della «prima serata» di proiezione al Boulevard des Capucines, a restauri e ritrovamenti, da Cuba a Taipei al Giappone a colori, dalla Russia pre-rivoluzionaria con i capolavori di Bauer e Protazanov, al cinema italiano muto ritrovato del 1916 che include Il figlio della guerra, scritto dall’attrice Bianca Virginia Camagni (anche regista ma di film finora perduti) ai film di Marie Epstein.

Le donne infatti hanno una loro visibilità, con una nicchia per la sceneggiatrice Anita Loos, che oltre a scrivere le didascalie del mitico Intolerance dopo essersi studiata quelle di D’Annunzio per Cabiria, come ha raccontato in una serie di articoli su «Photoplay» sfoga la sua ironia nel MontyPythonesco Leaping Fish con un Douglas Fairbanks detective strafatto di cocaina, o scrive l’antirazzista The Half-Breed e The Social Secretary, che tratta di molestie sessuali. Tra l’altro Loos è l’autrice dello sperimentalissimo romanzo Gli uomini preferiscono le bionde (1925) in cui inventa la goldigger svagata Lorelei, resa famosa in seguito da Marilyn, e prende in giro Freud.

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Non mancano i documentari come quelli di Robert Drew sui Kennedy, versione americana del cinema veritè, basata su un’osservazione partecipata degli eventi, senza commento fuori campo, in cui i personaggi (qui JFK) agiscono nella quotidianità, mentre la macchina da presa ne spia le azioni, durante la campagna per le primarie, nello Studio Ovale o al Ministero di Giustizia quando Bob Kennedy seguiva la crisi razziale in Alabama.

Tante proposte per stuzzicare l’appetito dei cinefili e di un pubblico vero che la cineteca sta cercando di (ri)costruire non solo con le proiezioni in Piazza grande e lo spazio bambini, ma anche con un evento educativo per gli esercenti europei.