Quando hai ottenuto tutto, ma proprio tutto. Quando hai realizzato tutti i tuoi sogni e sei andato anche un po’ più in là. Quando intorno a te si creano cose che il tuo esempio, la tua forza ha generato. Quando sei venerato da tutti, intelligenti e stolti, quando sei un idolo… Quello è il momento difficile. La resa dei conti. Il baratro, o il volo. L’ego o l’umano.

Massimo Bottura è un uomo fortunato, perché ha scelto, è stato capace, di volare e portarsi con sé tutto ciò che di buono gli è stato vicino fino ad ora. Ha scelto di capire e capirsi, fino in fondo. Ha scelto le parole di suo figlio Charlie come specchio in cui riconoscersi. E ha colto il vero, il profondo. Ha compreso che la felicità, quella vera che rimane, è restituire.

LA COPERTINA

Quando un italiano si è meritato la copertina del New York Times tra le tante personalità di rilievo dell’anno, è facile che i mangiafuoco facciano a gara per accaparrarselo. Ma se c’è una cosa che si è chiarito, nella generosità del flusso di parole che concede, è che di politica non parlerà mai più.

Eppure anche la politica può essere una faccenda nobile, può essere quella della polis, delle cose giuste da fare, delle possibilità da incanalare, delle esperienze da condividere. E un cuoco, nel suo piccolo mondo (anche se nel suo caso di piccolo non c’è nulla) che è la cucina, per funzionare non può far altro che condividere. E insegnare agli altri come si fa.

Alla fine proprio la cucina, con le sue durezze, le sue dinamiche da esercito, la sua dedizione totale, è un mondo umano in cui c’è un maestro che insegna e un discepolo che impara. Uno dei pochi in cui queste figure esistono ancora, e nulla si reggerebbe senza l’uno o senza l’altro.

Bello sarebbe, se gli altri, di mondi, imparassero un po’ da qui. Mettersi a disposizione e inventare qualcosa di nuovo, con uno sguardo attento alle necessità dell’altro. Così è la testa e anche l’anima e anche la cucina, oggi osannata un tempo attaccata come blasfema, di Massimo Bottura.

A MODENA

Quando arrivi a Modena e sali su un taxi per andare da lui c’è il bello della provincia che ti abbraccia: «lo conosciamo tutti, gli diamo tutti del tu. Prima c’era Pavarotti, ora c’è lui che ci fa belli!». E che li riempie di visitatori da tutto il mondo. Una cittadina bellissima, spesso avvolta nella nebbia con lampioni antichi a suggestionare ogni angolo.

Modena, raggiante e succulenta, raccolta intorno alla Francescana. Che non è solo un ristorante, anzi, Il Ristorante. È molto di più. è la speranza che la grandezza italiana non sia morta per sempre, sepolta sotto rifiuti di ogni genere, sotto appalti mafiosi che prima di essere fuori sono dentro di noi. È la bellezza, la riuscita, la sfida, la gioia. È l’orgoglio di quello che possiamo essere. Tutti.

Massimo Bottura è energia pura, gesticola, si agita e crea: «se qualcuno mi chiedesse: cosa fai, Massimo, tutti i giorni in Francescana? Io mi metto lì e comprimo, dentro bocconi masticabili, le mie passioni. L’arte, la musica, la letteratura, la cucina. Seduto su secoli di storia. Perché la mia è una cucina profondamente italiana, filtrata però da una mente contemporanea». Tutto questo lo mastichi in ogni boccone, in qualche modo lo assimili nel sangue. Porsi le domande giuste. Questa è una priorità per lui. Porle agli ingredienti, ma anche a se stessi è la giusta causa utile a grandi traguardi. «Se ti poni le domande corrette non rischi di perdere 2000 anni di storia su cui sei seduto ma sei in grado di utilizzare le tecniche che hai a disposizione non solo per salvaguardare ma anche per aiutare gli altri ad esprimersi al meglio. In primis i miei eroi contemporanei ovvero i grandi artigiani che sfidano ogni difficoltà pur di far crescere al meglio le nostre materie prime d’eccellenza».

I REFETTORI

Nel periodo dell’Expo. In quel periodo è nato il grande progetto de «I Refettori», esportato in tutto il mondo, mirato ad affrontare la problematica dello spreco alimentare e della fame. Milioni di tonnellate di cibo buono buttate in faccia ad altrettanti milioni di persone che muoiono di fame. Follia.

Bottura, sostenuto immediatamente dalla Caritas, ha aperto il primo Refettorio a Milano «era il periodo in cui arrivavano tutti i profughi in Centrale, un impatto umano incredibile». Ha coinvolto le eccellenze italiane del design, dell’architettura, artisti e molti degli chef migliori del mondo e li ha messi a insegnare «ai volontari come non sprecare nulla e preparare un pasto delizioso con bucce di banana (famoso un suo intervento a Rio de Janeiro), una zucchina brutta, un pomodoro troppo maturo. Proprio come facevano le nonne!» L’attenzione mediatica è altissima «a un certo punto ci siamo resi conto che forse si riesce a cambiare la testa delle persone».

«La Rivoluzione siamo noi» è il titolo dell’opera di Beuys all’ingresso della Francescana «ma per me il concetto è più quello dell’evoluzione. Perché tutto c’è già stato, essere seduti sul passato vuol dire questo. Quante volte Warhol ha letto Duchamp… Io non posso prescindere da Scappi, dalla cucina medioevale, da Petronio. Vado ad attingere dalla mia storia per proiettarlo nel futuro». La differenza è sottile. Ma incisiva. Perché quando si parla di nonne e di storia e di passato, in questo paese, si prende una deriva, lenta ma inesorabile. Rigida e lamentosa. «L’Italia è un paese molto nostalgico. Vive la tradizione con superficialità, in questo modo l’evoluzione è compromessa. La cosa più difficile è guardare al passato in chiave critica, non nostalgica. Prendere il meglio di ciò che è stato e portarlo nel futuro».

LA CULTURA

Il punto non è tanto il sapore del ragù, se fosse meglio quello della mamma, della nonna o il suo. Se di carne di maiale o cos’altro. Il punto è, anche «che un cuoco oggi è o può essere qualche cosa di più delle sue ricette» anche in termini di responsabilità. Ciò che manca al cuoco del futuro è «cultura».

Un obiettivo è creare un’università, a Castelfranco Emilia, che unisca i tanti giovani che si sentono ispirati da questo mestiere e farli studiare gomito a gomito con i contadini loro coetanei.

«Immagino un tempo in cui queste professionalità crescano insieme e si riconoscano e conoscano vicendevolmente. Dove i cuochi approfondiscano e sappiano cos’è la terra mentre i contadini abbiano un miglior approccio al palato e al gusto». Di certo, da lui stimoli alla conoscenza e alla crescita non mancano. I suoi ragazzi ammirano opere d’arte perfino quando sono in bagno, riflettono sui grandi della storia «perché noi non usiamo nessuno, non buttiamo ragazzini allo sbaraglio a farsi bruciare dopo aver imparato due cose. Noi insegniamo loro a coltivare con grazia il loro sogno. Esprimimi chi sei a da dove vieni in un piatto. E poi li correggo. E cresciamo insieme. Il gruppo è la cosa più importante. è come la famiglia. E anche se è giusto che ci sia ambizione- è l’ossessione che porta al successo- chi non rientra in una logica di armonia si auto espelle da solo».

Ha un sapore profondamente dolce e velato di complessità, questa vita Di Massimo Bottura, oggi. Stratificazione di amaro e acetico, prugna, incenso, caffè, pesca cotta, amarena. Un aceto balsamico meraviglioso. Forte come solo la bellezza conquistata sa essere «mio suocero- direttore del «Reader’s Digest» nei ’70 e ’80- mi diceva sempre: cresci lentamente, non ti preoccupare. Metti salde radici, così alla prima tempesta non sarai spazzato via». Così è stato. Con una missione alla base «cultura che genera conoscenza che apre la coscienza e che ti porta al senso di responsabilità».

Questo è il suo percorso.