Reduci da un discorso pronunciato di fronte a un’aula semivuota Paolo Gentiloni e il suo governo arrivano al Senato quasi alla chetichella. Nessun annuncio, nessuna solennità, neppure veri onori di casa. I senatori in aula a un certo punto scoprono che come per magia sono comparsi premier e ministri. Un esordio di governo più mesto non lo si ricorda.

Nei saloni e nei corridoi si respira la stessa aria, più da sipario che da festosa inaugurazione. Come al solito i voti al Senato scarseggiano. Con i 18 verdiniani il nuovo esecutivo si sarebbe almeno risparmiato il patema d’animo a ogni votazione importante e di conseguenza il fantasma di Rignano che tiene le dita strette sulla chiavetta dell’ossigeno avrebbe avuto qualche problema in più a decretare l’asfissia. Ma Verdini, dicono, si era impuntato sul ministero della Sanità, bottino impossibile perché nel caso sarebbe stato Angelino Alfano a disertare il voto come hanno fatto ieri a Montecitorio e probabilmente faranno di nuovo oggi gli alati. L’ex viceministro Enrico Zanetti si sarebbe accontentato di quel che passava il convento, ma il fiorentino Denis si è impuntato.

Non che proprio tutto sia perduto. I ministeri sono andati, ma restano i viceministeri, un paio di sottosegretariati e le due poltrone eccellenti lasciate vacanti dalle neo ministre Fedeli e Finocchiaro: la vicepresidenza del Senato e la presidenza della Commissione Affari costituzionali. La merce di scambio c’è e l’acquisto di voti sarebbe anche utile, non tanto per la fiducia di oggi quanto per il prosieguo, specialmente in postazioni delicate come la Commissione Affari costituzionali dove la maggioranza è perennemente in bilico.

Dunque un po’ si tratta: con i verdiniani, con alcune delle mille anime del gruppo Misto come le tre senatrici che fanno riferimento all’ex leghista Flavio Tosi, con i forzisti travestiti del Gal, 3 o 4 dei quali faranno certamente il salto. Ma è un mercatino delle pulci, privo della frenesia da grande suq che di solito esplode in questi casi.

La fiducia ci sarà, con 170 voti nella migliore delle ipotesi e comunque Gentiloni non dovrebbe andare sotto i 165 voti. Poi si vedrà ma senza tremori, perché tutti sono convinti che a salvare il governo ci penseranno le opposizioni, o almeno quella parte dell’opposizione che non ha alcuna voglia di votare presto, al secolo Forza Italia. Non a caso Berlusconi, a chi gli chiedeva se fosse arrivato il momento di mollare gli ormeggi Ncd per tornare nella casa azzurra, ha risposto di non pensarci neppure, che una maggioranza ha da esserci. Poi tra l’entrare in maggioranza e il votare contro, quando sarà il momento, c’è sempre di mezzo la provvidenziale assenza dall’aula.

Ma non è solo la mancanza di adrenalina a spiegare l’apatia generale e neppure solo la coscienza di dover fare i conti con un segretario del Pd che brucia dalla voglia di vederli tornare a casa. C’è anche la consapevolezza di stare commettendo un grosso sbaglio. «A Maria Elena – racconta fuori dei denti un senatore renzianissimo chiacchierando con i colleghi dell’opposizione – abbiamo detto tutti che era un errore. Abbiamo provato a convincerla, ma non c’è stato niente da fare. ’Non posso tornare a fare la deputata semplice’, ha risposto a tutti». C’è chi parla di un litigio a decibel sfrenati tra lei e Renzi, chi assicura che proprio lei, la ministra che «per serietà» si era detta pronta a lasciare la politica se la sua riforma fosse stata bocciata, abbia brigato come più non si potrebbe, aggirando lo stesso Renzi per rivolgersi direttamente a Gentiloni. Come che sia, fatto sta che Maria Elena Boschi campeggia come sottosegretaria unica a palazzo Chigi, che l’amico e rivale Luca Lotti si è tenuto stretto le deleghe, che il governo è una fotocopia e che tutti si rendono conto di quanto disastroso tutto ciò sia in termini di immagine.

Infine, particolare non secondario, molti ministri sanno che d’ora in poi avranno ben poco da fare. Per Peri Carlo Padoan e Carlo Calenda cambierà ben poco. Anna Finocchiaro, ai rapporti col Parlamento, dovrà seguire la legge elettorale, ma per il resto a darsi da fare sarà soprattutto il ministro degli Esteri. Vogliono il caso e Matteo Renzi che sia Angelino Alfano, e in tutto il Parlamento italiano non c’è nessuno che non sappia che si tratta di un bel guaio.