Anna è provata dalla malattia. Sola davanti alla macchina da presa, racconta la storia di Tommi, dell’incidente che lo ha reso disabile e della sua vita che non è stata più la stessa. Dice che i medici «si erano messi in testa che non ce l’avrebbe fatta», ricorda dettagli significativi solo a posteriori, ragiona sulle ferite e la degenza. Alberto Fasulo, vincitore del festival di Roma con Tir, la invita a ricordare e poi ascolta con la pazienza e la fiducia del bravo documentarista. L’inizio del suo nuovo lavoro è affidato a lei.

Genitori, fuori concorso a Locarno (prodotto con RaiCinema, verrà distribuito in autunno dal Luce), è un film dove la dimensione dell’ascolto è associata strettamente a quella della partecipazione. Chiamato da un gruppo di persone che da quindici anni si riunisce per affrontare le difficoltà di un figlio o fratello disabile, Fasulo inizia a seguirne le riunioni, prende appunti mentali ma soprattutto impara a convivere con l’emozione di essere là, vicino a un dolore che richiede disponibilità per essere compreso e distanza per essere portato sullo schermo. La sfida di un film come questo, pieno di pericoli nascosti, fra tutti il ricatto del dolore, si vince sul piano della forma. Fasulo decide di concentrarsi sui genitori, tenendo il film dentro la stessa stanza fin quasi alla fine e disponendo le conversazioni in uno spazio reso familiare e stabile dal rigore del montaggio. Con la macchina da presa sempre all’altezza giusta, in una posizione che è allo stesso tempo fisica e morale, porta lo spettatore in un luogo separato dove valgono le leggi della solidarietà e dell’autoaiuto ma anche tutte le altre. Quelle che vediamo sono persone normali in una situazione speciale, gente che, messa alla prova dalla vita, ha saputo reagire e combatte tutti i giorni contro un’infinita stanchezza.

Fasulo si dimostra subito all’altezza dell’impegno e predispone uno spazio filmico dove l’incontro e lo scambio possano avvenire con naturalezza e anche piacere. Dopo pochi minuti si ha la sensazione di essere presenti alle conversazioni, di potere almeno con il pensiero parteciparvi. Ci si scopre a simpatizzare con l’una e a dissentire con l’altro, si sorride ai pregiudizi di chi spiega le sue posizioni sulla sessualità dei figli e ci si commuove quando la stanchezza viene lasciata affiorare. È sempre bello quando in un film ci sentiamo liberi di guardare e pensare come ci pare, ma qui c’è qualcosa di più. Nel rifiuto di una qualsiasi forma autoritaria, Fasulo consente agli spettatori di partecipare liberamente a una comunità attiva e riportarne l’esperienza al di fuori. Un film che ci chiama in causa in qualità di spettatori e di cittadini, politico senza averne l’aria, lucido ed emozionante.