La madre di tutte le battaglie»: così era stata ribattezzata nel 2012 l’apertura del fronte ad Aleppo, principale centro commerciale siriano. Sito Unesco raso al suolo al 60% da tre anni di scontri tra opposizioni e governo, Aleppo è oggi il campo di battaglia tra il presidente Assad e una nuova alleanza islamista che ha nei qaedisti di al-Nusra la sua testa d’ariete.

Giovedì sera la coalizione islamista ha lanciato la più ampia offensiva dal 2012, nel tentativo di occupare le aree ancora sotto il controllo del governo e Zahra, quartiere sede degli uffici dell’intelligence, strategico perché passaggio privilegiato verso il confine turco a nord. L’operazione è stata annunciata dalla sedicente alleanza “Ansar al-Sharia”, formata da 13 gruppi con l’obiettivo di «liberare Aleppo e stringere un patto comune per la gestione della città in linea con la Shari’a [la legge islamica, ndr]». Tra gli aderenti ci sono Ahrar al-Sham (con cui al-Nusra si è alleata anche ad Idlib, Qalamoun e al confine sud, sotto il nome di Jaysh al-Fatah, l’esercito della conquista), Ansar al Din, Ansar al Khilafah, il movimento Mujahideen al Islam e la Brigata al Tawhid Wal Jihad.

E a capo del fronte c’è al-Nusra, che da mesi ha scalzato l’Esercito Libero Siriano, braccio armato di quella Coalizione Nazionale foraggiata dall’Occidente ma quasi scomparsa dal campo militare e diplomatico. Molte milizie dell’Esercito Libero hanno finito per sciogliersi o aderire alle file di al-Nusra perché – raccontano alcuni membri – al Qaeda paga meglio e ha armi migliori.

Ieri centinaia di missili sono piovuti sui civili, stretti tra il fuoco islamista e quello di risposta del governo. Perché immediata è stata la reazione di Damasco (sostenuta da Hezbollah e milizie sciite irachene): raid hanno colpito le postazioni islamiste, mentre scontri strada per strada scoppiavano nelle zone settentrionali e occidentali dove Damasco mantiene dal 2012 le posizioni, dopo aver perso a favore dei ribelli le aree ad est. La caduta dei quartieri ovest è una seria minaccia alla tenuta di Assad: il Fronte al-Nusra controlla da maggio Idlib, a sud ovest di Aleppo, e potrebbe garantirsi un collegamento strategico verso occidente e la costa, tuttora roccaforte governativa.

Ad Aleppo Assad si gioca molto: il controllo di una città strategica dal punto di vista militare e simbolico, ma soprattutto la possibilità di mostrarsi come la sola forza di contrasto all’avanzata islamista. Si gioca tanto anche al-Nusra: l’occupazione del corridoio che da Aleppo arriva a Idlib; la sopravvivenza messa in pericolo dai rivali dello Stato Islamico; e la nuova strategia di al Qaeda – palese in Yemen, dove controlla quasi l’intera provincia di Hadramaut – di trasformarsi da mera forza militare a alternativa amministrativa e politica a Damasco.

Chi invece ha già perso è l’Onu: il piano di cessate il fuoco locali proposto dall’inviato De Mistura, proprio a partire da Aleppo, crolla sotto il fuoco incrociato di islamisti e governo. Il primo, invece, a sfruttare la rinnovata battaglia per Aleppo è il vigile presidente turco Erdogan. Dopo giorni di rivelazioni e smentite su una zona cuscinetto turca in territorio siriano, ieri rinforzi sono stati mandati da Ankara al confine, ufficialmente per metterlo in sicurezza da eventuali effetti collaterali degli scontri ad Aleppo.

Il premier turco Davutoglu ci tiene a rassicurare l’opinione pubblica internazionale: sul tavolo non c’è alcun piano di incursione terrestre. «È vero che abbiamo preso precauzioni per proteggere la frontiera – ha detto giovedì sera – Se si creassero minacce alla sicurezza turca, sarebbe dato ordine di agire. Ma nessuno si aspetti che la Turchia entri in Siria domani o nel breve periodo».

Intervenire contro chi? Non contro l’Isis che nei mesi passati (e più recentemente nella seconda offensiva contro Kobane) ha attraversato quella porosa frontiera con frequenza allarmante. Intervenire, invece, contro il nemico Assad. E per preparare l’eventuale offensiva, Davutoglu spara le sue folli accuse: Damasco si sarebbe alleata con l’Isis ad ovest di Aleppo contro le opposizioni rivali. La realtà sul terreno – oltre alla storia delle repressioni compiute dalla famiglia Assad nei confronti dei gruppi islamisti – dice ben altro: Damasco è oggi la sola a contenere l’avanzata del califfo.