Una sera di otto anni fa, le lacrime al viso e un sorriso riconoscente verso il suo pubblico, Alessandra Ferri dava l’addio alle scene, dal Teatro alla Scala. Insieme a Roberto Bolle, l’étoile aveva appena danzato uno dei ruoli più toccanti della sua carriera, La Dame aux Camélias di John Neumeier, storia d’amore e morte, una di quelle parti che vogliono artisti in grado di trasformarsi anima e corpo nei personaggi che interpretano.
Classe 1963, Alessandra Ferri entrò in Marguerite Gautier con tutta se stessa, la passione, la tristezza, la generosità, il destino di morte, l’amore sopra ogni cosa: un debutto di quelli che restano nella memoria. Un addio emozionante. Un’altra pagina per l’artista italiana si era aperta, una vita diversa da condividere a New York con le due figlie e il compagno di allora, il fotografo Fabrizio Ferri, altri interessi. Ma la danza, quando è tutt’uno con un artista, prima o poi rivuole il suo mentore.

Negli anni in cui non calca le scene, Alessandra firma la programmazione di danza del Festival dei Due Mondi di Spoleto ed è lì che nel 2013, sei anni dopo l’addio, torna a ballare, debuttando in una coreografia a sua firma The piano upstairs, un pezzo intimamente legato alla sua vita privata. Un primo passo, seguito da Chéri, tratto dal romanzo di Colette, intenso duo con Herman Cornejo, Principal Dancer dell’American Ballet Theatre, firmato dalla regista e coreografa Martha Clarke.
Abbiamo incontrato Alessandra Ferri due volte in questi mesi, a Milano a dicembre, e ora a Firenze, ed è un piacere ritrovare un’artista di cui si è sentita la mancanza per quello speciale spessore interpretativo, in lei unito a una tecnica dall’intelligente virtuosismo espressivo. Basti pensare ai tanti titoli danzati per Roland Petit, un coreografo con cui Alessandra ha avuto un rapporto speciale.

Indimenticabile la sfrontatezza seducente della sua magistrale Carmen, il fascino femminile sfoderato ne Il Pipistrello, il brio de Le diable amoreux, il guizzo diabolico della ragazza in giallo de Le Jeune Homme et la Mort. Un’alchimia artistica che ha fatto fare ad Alessandra uno strappo ai suoi propositi (non ballerò più titoli di repertorio), trasformandola ancora una volta nella ragazza de Le Jeunne Homme et la Mort, capolavoro esistenzialista su libretto di Cocteau, in questi giorni all’Opera di Firenze (repliche ancora domani sera e martedì 10, vedi box).

«Roland Petit ha lasciato in me una traccia profonda» ci racconta Alessandra. «È la prima volta che danzo un suo pezzo, senza che lui sia presente. Ho sentito la sua mancanza. Per me ballare Petit è casa. Ho danzato in passato Le Jeune Homme et la Mort in situazioni speciali, anche con lo stesso Petit, ma mai nel suo allestimento scenico integrale, come succede qui a Firenze. Sono molto felice di avere scelto di ballarlo. Quando smisi di danzare nel 2007, Petit si arrabbiò con me. Quando ho ripreso, mi ero ripromessa di non ballare più ruoli di repertorio, ma tengo particolarmente a Le Jeune Homme: dedico questa serata a Roland Petit».

Molti i progetti della nuova vita artistica di Alessandra Ferri. Al Covent Garden di Londra l’artista debutterà in maggio in una produzione di Wayne McGregor dedicata a Virginia Woolf, il prossimo dicembre ad Amburgo John Neumeier firmerà per il talento drammatico di Alessandra un balletto ispirato a Eleonora Duse, nel frattempo l’étoile si sta preparando al debutto italiano di Trio ConcertDance, una prima assoluta che vedrà la nascita al Regio di Parma il 9 aprile (repliche al Comunale di Modena il 10 e al Ponchielli di Cremona l’11).

«È un programma che parte da una commissione mia, di Herman Cornejo e di Bruce Levingston. Due danzatori e un musicista. Bruce è un concertista meraviglioso. Con noi ci saranno i Solisti dell’Opera Italiana. Con Cornejo ho già lavorato in Chéri, è un meraviglioso partner. Noi tre insieme abbiamo ideato ConcertDance, un progetto che ha come comune denominatore la musica, un viaggio attraverso diversi compositori con i coreografi Russell Maliphant, Demis Volpi, Fang-Yi Sheu, che firmano per noi delle creazioni, e Angelin Preljocaj. di cui danzeremo un estratto da Le Parc, su musica di Mozart».

Parliamo delle creazioni: «Russell è un affascinante coreografo di oggi, molto contemporaneo. Lo conosco da quando giovanissima arrivai a Londra per studiare al Royal Ballet. Eravamo compagni di classe. Mi piace lavorare con lui perché plasma la coreografia su di te. La creazione ideata per me e Herman è su musica di Philip Glass. Su partiture di Ligeti, invece, firmerà una novità Demis Volpi, argentino, coreografo residente del Balletto di Stoccarda, che ha firmato coreografie anche per l’American Ballet Theatre, un giovane coreografo molto promettente. Sarà un lavoro in punta, molto diverso nello stile da quello di Maliphant. Fang-Yi Sheu, che viene da Taiwan, è stata a lungo una danzatrice della Martha Graham Dance Company, è una grande artista, all’inizio nella coreografia: sta lavorando a due brani per noi, ancora in embrione, con musica di Bach. Il nostro progetto ConcertDance è concepito come work in progress, e potrà continuare con altri coreografi. Mi sarebbe piaciuto avere già ora Alexei Ratmanski, ma era troppo impegnato in questo periodo con l’ABT. La bellezza è che tra coreografo e danzatore i linguaggi si confrontano. Ciò che conta è l’incontro con la persona».