Sbatte la porta in faccia a Silvio Berlusconi e dà i mille giorni di preavviso a Matteo Renzi, avvertendolo che l’alleanza durerà il tempo della legislatura (mille giorni appunto, che comunque non sono pochi) e non un minuto in più. Ma soprattutto, per ricordare a se stesso e alla platea che lo ascolta di essere pur sempre un uomo di destra, parte all’attacco dei diritti sul lavoro, a cominciare dall’articolo 18 che, manda a dire al premier, «è un totem che va abbattuto».
E’ un compito arduo quello che Angelino Alfano sa di dover svolgere aprendo ieri a Roma i lavori della prima assemblea nazionale del Nuovo centrodestra. Il ministro degli Interni doveva convincere chi a novembre dell’anno scorso lo ha seguito prima nella scissione da Forza Italia e poi nel dar vita a un nuova formazione politica, che non ha sbagliato nel dargli fiducia. Impresa non facile, visto il 4,4% ottenuto alle elezioni europee e il rischio di apparire sempre più come una stampella della maggioranza.

Eppure a volte i miracoli riescono e alla fine Alfano può tirare un sospiro di sollievo e cantare vittoria se anche una come Nunzia De Girolamo, tra le più tentate da un ritorno in Forza Italia, si dice soddisfatta: «Qualche dubbio mi era venuto, invece tu oggi ci hai ridato la linea» dice rivolta a Alfano l’ex ministro dell’Agricoltura. Dubbi legati al sospetto che si volesse modificare il Dna del Ncd rendendolo troppo subalterno a «mister 40%».
Ecco il problema per Alfano era proprio questo: vaso di coccio tra due vasi di ferro come Renzi e Berlusconi, doveva riuscire a trovare un suo spazio senza farsi schiacciare. Per riuscirci come prima cosa rifiuta l’offerta, che Silvio Berlusconi gli fa arrivare al mattino dalle pagine del «Giornale», di unire i moderati partecipando così alla ricostruzione del centrodestra. «Se la coalizione deve esserci vogliamo capire se è venuto meno il tentativo di soffocarci in culla», dice. «Onestamente su questo non c’è traccia oggi. Siamo rimasti delusi che nell’appello di oggi manchi il punto fondamentale, quello sulla legge elettorale, che è un punto dirimente per noi e per le forze di questa potenziale coalizione».

E’ ancora troppo forte il rancore per gli attacchi e le accuse di tradimento subìti in questi mesi dai falchi azzurri. «Ora ha capito anche chi non aveva capito il senso di una scelta, quella di governo, fatta in nome della salvezza del Paese alle prese con la crisi economica e con la necessità di riformare le istituzioni», rivendica Alfano. Una scelta, quella di restare al governo, che è stata anche oggetto di un acceso battibecco tra De Girolamo e il ministro Beatrice Lorenzin, con la prima che afferma come la divisione da Fi non fosse basata su valori diversi, bensì dalla scelta di restare al governo «per portare all’approdo la nave Italia» e la seconda che replica seccata: «Ce ne siamo andati per la deriva estremista di quel partito che stava per diventare Alba dorata», replica facendo riferimento alla formazione di estrema destra greca.

L’Ncd dice dunque no alla riunificazione con Forza Italia. Anche perché sono in molti a considerare l’ipotesi come un abbraccio mortale. Lo dice chiaramente Fabrizio Cicchitto che sottolinea come «è difficile allearsi con chi ti sta preparando una garrota». Ma Alfano manda un messaggio anche a Renzi, prendendo a pretesto il Jobs act in discussione al Senato. «Al governo e a Renzi diciamo chiaramente che sull’articolo 18 noi non scherziamo, non è uno slogan elettorale. Vogliano che quel totem venga abbattuto: anche per Renzi significherebbe abbattere un vecchio totem della sinistra». Sarebbe il classico ruggito del coniglio, se non fosse che pochi giorni fa anche il ministro del lavoro Poletti ha usato le stesse parole di Alfano: l’articolo 18 non è un totem.