Ogni tanto Alfredo Bini torna da qualche parte del mondo e ci porta in redazione i suoi reportage fotografici. Così dalla Thailandia, dalla Cina, dal Tibet, dall’Africa. Con una nettezza di pensiero e con acume di osservazione coglie la condizione umana nella forma dell’inquadratura. Questa volta con il suo viaggio in Etiopia il passaggio al video è stato inevitabile, troppo evidenti i contrasti che ha potuto cogliere, tali da poter essere raccontati per immagini (e infatti ne ha realizzato una mostra ricca di suggestioni), ma con la necessità di girare parallelamente un documentario che ne rivelasse le ambiguità, le menzogne.

Nel vedere Land Grabbing or Land to Investors? (terra accaparrata, o terra per investitori?) ci viene in mente il lucido disegno mentale di Alfredo Bini che, giovane reporter veniva in redazione a proporre i suoi reportage già sei o sette anni fa e si chiacchierava del lavoro al manifesto, dei suoi lettori, dell’organizzazione di una cooperativa libera e indipendente. Erano domande che tendevano a delineare uno spazio con le sue figure. Così in Etiopia le domande che pone ai personaggi dal grande potere finanziario e agli umili lavoratori sono semplici e precise e da quelle risposte esplode con fragore lo sfruttamento puro e semplice.

Tutto prende il via con la conferenza di Riad quando il Land Grabbing favorisce l’acquisto di terre a prezzi irrisori, convertendo in terre coltivabili zone precedentemente destinate al pascolo senza il consenso della popolazione, in violazione dei diritti umani. Una simile pratica oggi, per la prima volta dopo l’epoca coloniale si svolge in ogni parte del mondo, è estremamente redditizio e comprende anche il controllo delle risorse idriche.

Alla domanda del perché proprio l’Etiopia, risponde Bini: «La scelta di svolgere questa ricerca in Etiopia è stata naturale: è discutibile l’eticità di trarre profitto da prodotti coltivati in un paese mentre i suoi abitanti muoiono di fame. Sei milioni di etiopi, infatti, sopravvivono solo grazie agli aiuti alimentari distribuiti dalle Nazioni Unite – uno dei programmi d’aiuto più costosi del mondo. Al tempo stesso, aerei cargo decollano giornalmente carichi di verdura fresca e rose, con destinazione finale gli alberghi degli Emirati Arabi e i mercati di fiori olandesi. Il paradosso è più che evidente».

Vediamo serre di rose, ceste di fragole…«Oggi l’Etiopia è il primo produttore al mondo di rose, dice, (una rosa su quattro al mondo viene da lì), la produce un’azienda di Bangalore che prima era in Kenia e poi si è spostata in Etiopia, ma si produce anche canna da zucchero, palma da olio, riso». Esibisce infatti un turbante il produttore esecutivo della Karaturi nell’incipit spiazzante. Cosa ci dice del Land Grabbing? chiede Bini e lui risponde: «Non si tratta di terra accaparrata, il governo ci offre questa possibilità, si tratta di terre vergini e noi utilizziamo questa possibilità». È esattamente quello che per secoli hanno sostenuto i conquistadores, quando hanno spazzato via dalla pampa gli indios o dalle pianure i nativi e i bisonti considerandole terre di nessuno, terre vergini. E nella costruzione precisa del documentario sulla base della frazione primaria tra immagine e parola si vede, mentre l’imprenditore parla di sviluppo, il controcampo è dell’etiope oscurato per motivi di sicurezza (la verità mette in pericolo) che spiega che la terra affittata per cinquanta, cento anni comporterà una fisionomia naturale del paesaggio sarà stravolta, che il paesaggio agricolo trasformato in monoculture non soddisferà certo il fabbisogno alimentare della popolazione.

Lo stesso procedimento avviene mettendo a confronto la voce ufficiale del governo che assicura di avere la responsabilità di abitanti e ambiente, provvedendo ad adeguate riserve alimentari e idriche e subito dopo vediamo una profusione di rose, peperoni e fragole che stanno a dimostrare di quali derrate si stia in realtà parlando e dove andranno a finire. Una terra dove i pastori non possono più far circolare il bestiame contrapposto alle frenetiche operazioni della Ethiopian Commodity Exchange, la Borsa locale, i grattacieli degli emirati con gli hotel a sette stelle contrapposta alla ladiparia indicazione dell’economia contemporanea: «se controlli la risorsa principale di una società controlli la vita delle persone».
Il documentario, già in programma al festival del cinema africano a Milano sarà replicato domani allo Slow Food Theater dell’Expo alle 16.30. Attualmente il nuovo obiettivo di Alfredo Bini, è la scoperta dell’America, sono gli Usa, dove sta viaggiando per scoprire le più lampanti contraddizioni che sfuggono al viaggiatore affascinato, ma non alla sua logica implacabile di sguardo. Ne riparleremo.