La consapevolezza di una passione che si trasforma poi in professione. La musica è sempre al centro delle attenzioni di Alice come dimostra il disco appena licenziato Weekend (Arecibo) a due anni di distanza da Samsara, l’album che l’ha riportata sui sentieri del pop dopo molte stagioni. «Però – spiega la cantante – non vorrei che mi pensasse fuori dal giro. È che nel frattempo ho voluto confrontarmi con altri progetti, non necessariamente legati alla musica leggera». Il nuovo lavoro, registrato nel giro di un anno e soprattutto nei fine settimana, così da giustificare il titolo, è una raccolta eterogenea dalle atmosfere curatissime oltre che dal suo storico produttore – nonché compagno di vita – Francesco Messina che la segue e la consiglia ormai dai tempi di Park Hotel (1986), anche da Marco Guarnerio.

L’apertura è stata affidata a Tante belle cose, un pezzo di Francoise Hardy diva francese che da noi ha vissuto belle stagioni nei ’60, adattato in italiano da Franco Battiato, con la tromba di Paolo Fresu. Il musicista sardo lo ritroviamo anche in Da lontano, un brano in cui la cantante emiliana duetta con Luca Carboni. Con Battiato il rapporto si rinsalda ogni volta in maniera diversa. Qui – oltre che nel pezzo già citato – anche nella nuova versione di La realtà non esiste scritta da Claudio Rocchi che già il cantautore siciliano insieme a Anthony avevano interpretato lo scorso anno nel live all’Arena di Verona: «Un concerto incredibile – ricorda Alice anch’essa protagonista di quella data in veste di ospite – e l’accostamento delle due voci non è stato casuale. C’è un pensiero e una consapevolezza dietro che fa sì che due artisti completamente diversi, si trasformino l’uno nel completamento dell’altro. È la musica che fa miracoli». Dal passato riemerge una delle canzoni simbolo del suo repertorio Viali di solitudine: «È rimasta così forte in questi decenni tanto da farmi ritornare il desiderio di riproporla. Ogni tanto sento il bisogno di ricollegarmi con il passato. Abbiamo pensato di riarrangiarla in una versione molto essenziale, quasi unplugged».

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La carriera di Alice ha vissuto varie fasi, la prima si è conclusa con l’abbandono del nome d’arte scelto all’epoca Carla Bissi, che la portò a vincere una Gondola d’argento a Venezia nel 1972, per abbracciare nel 1975 quello di Alice: «Avevo anche un cognome, Visconti, ma mi sembrava troppo impegnativo e l’ho perso per strada (ride, ndr). Non mi ritrovavo più nelle cose che facevo, tanto che avevo proprio smesso di cantare. Poi Giancarlo Lucariello che è stato il mio primo produttore discografico mi ha proposto di fare dischi e musica in altro modo». ù

Da lì il diluvio, con i successi di classifica, il trionfo sanremese nel 1981 con Per Elisa e le tante collaborazioni internazionali: «Ho preferito però rifiutare una proposta americana in cui mi si offriva di reincidere il disco con musicisti americani, in inglese e spagnolo. Avrei dovuto per tre anni abbandonare tutto e seguire un tour promozionale totalizzante. Non me la sono sentita». La scelta estrema è stato lo sganciamento dalle major per affidarsi a produzioni indipendenti, anticipata nel 1988 dalla coraggiosa decisione di incidere Méelodie passeggere, un disco con il pianista Michele Fedrigotti interamente composto da musiche di Satie, Faure, Ravel: «Mi ha convinta Francesco, perché non mi sentivo pronta. Lui mi ha spronato spingendomi a sperimentare, spiegandomi che dovevo vedere la realizzazione di quei brani sotto un’altra prospettiva. Composizioni che hanno anticipato la canzone leggera, in qualche modo dovevo immaginarle come l’origine del mio lavoro. Sperimentare, ecco il modo giusto per farsi coinvolgere dalla musica a 360 gradi».