Premessa: lo scombussolamento in atto nel mondo della discografia e del settore musica in generale, ha costretto gli artisti a riprogrammare in toto le proprie attività. Se prima l’oggetto disco era il centro di tutto,ora è quasi un optional destinato a poche migliaia di fan. Per intenderci, il guadagno si concentra adesso sui live, dove però la concorrenza è tanta e quindi sono indispensabili gli… effetti speciali. Da qui l’escamotage delle esibizioni in coppia (paghi uno, prendi due…) replicando la falsariga di quando accade già negli Stati uniti (ultimo in ordine di tempo l’incontro Simon/Sting) o le reunion magari anche solo su disco (Mina/Celentano 2).

Il tour congiunto di Battiato e la «musa» Alice probabilmente nasce su questa spinta, e i numeri gli danno ragione con sold out a ripetizione, ultimo in ordine di tempo quello di domenica sera nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma all’interno del festival Luglio suona bene.

Ma superato il mero calcolo «mercantile» e il fatto che in realtà i due si incontrano solo nel bis dividendosi a metà i set, la loro esibizione evidenzia come un certo pop italiano a cavallo fra la fine ’’70 e buona parte degli ’80, abbia dato prova di maturità e creatività mai più ritrovati. La carriera di Battiato e Alice è lì a dimostrarlo, autore straordinario e arrangiatore sensibile – e coltissimo – il musicista siciliano, sofisticata e mai algida interprete (e autrice spesso) di brani di spessore la seconda.

A suo agio sia su repertorio classico (ricordiamo le frequentazioni nel repertorio di Satie, Fauré e Ravel) che nel pop. In particolare con Battiato che trova nella sua voce – come anche con Milva e Giuni Russo – l’ideale ponte per il suo avanguardismo pop. A Roma, elegantissima nel suo abito bianco, Alice ha riletto con il supporto prezioso dell’Ensemble Symphony Orchestra diretta da Carlo Guaitoli, alcune di quelle pagine (Il vento caldo dell’estate, Per Elisa) alternandole a pezzi dei suoi più recenti e convincenti lavori.

Battiato in sparatissima giacca rossa, adagiato su un sofà, ha invece preferito mettere in sequenza – in una sorta di juke box – le hit di una vita; da L’era del cinghiale bianco, Up patriots to arms e le più riflessive La cura, il capolavoro Povera patria e Cuccurruccu, dove va in scena il grande equivoco del suo pop all’apparenza disimpegnato su cui innesta testi di fuoco («l’ira funesta dei profughi afghani che dal confine si spostarono nell’Iran»), mentre il pubblico sotto il palco ignaro danza.

E i duetti? Tutti nel bis, l’incanto di Prospettiva Nevski e I treni di Tozeur per chiudere con i due a incespicare (ridendo) sui testi del gobbo sulle note di E ti vengo a cercare, Bandiera Bianca/Sentimiento nuevo.