La conferma dello sciopero Alitalia per il prossimo 23 febbraio fissa anche la dead line del nuovo piano industriale, che dovrà essere «articolato e chiaro» (parole del ministro Calenda), e soprattutto non dovrà ricadere per l’ennesima volta sulle spalle degli attuali 11mila addetti dell’ex compagnia di bandiera.

Lavoratori già sopravvissuti negli ultimi anni a due pesanti “riorganizzazioni” che hanno portato via migliaia di loro colleghi, e che ora pare non intendano accettare nuovi tagli, che alcune indiscrezioni quantificano in altri 1.600 addetti «in esubero».

Come accaduto nelle altre situazioni di crisi, quello che sembra mancare all’azienda è una strategia adeguata ad accompagnare le profonde trasformazioni del settore. «La situazione attuale di Alitalia non è causata dal fattore lavoro che ha percentuali di apprezzamento sotto qualunque altro concorrente – osservano i sindacati – ma dal mancato posizionamento nello scenario mondiale del trasporto aereo».

L’amministratore delegato di Ryanair, Michael O’Leary, presentando sette nuove rotte basate a Malpensa per il 2017, rivela di aver fatto una proposta anche ad Alitalia, nel quadro di una strategia di interconnessione tra rotte locali e intercontinentali.

«Ma nella situazione in cui si trova – ha aggiunto O’Leary – è difficile che possa cooperare con noi, perché prima deve liberarsi dai vincoli con Air France. Alitalia non potrà mai essere una compagnia low-cost, deve liberarsi dai vincoli che ha sui voli a lungo raggio, e deve poi cooperare con una compagnia come noi».

Per l’ad della compagnia Cramer Ball, già alle prese con l’annunciato addio del suo mentore James Hogan, la mission del piano di rilancio Alitalia non appare di facile soluzione. Dal governo Gentiloni è già stato fatto sapere che il nuovo piano dovrà contenere anche un accordo di massima con i lavoratori e i delegati sindacali.

Fra le righe è stato spiegato che il governo non ha intenzione di concedere ulteriori ammortizzatori sociali, dopo averne fatto ricorso massicciamente nella crisi Alitalia del 2007-08 e in quella del 2014 che segnò l’ingresso degli arabi di Etihad nella compagine azionaria, sia pure al 49% per non incorrere nell’altolà dell’Unione europea.

La strada da fare per Cramer e i suoi manager si presenta assai impegnativa, almeno a leggere il verbale del Ministero del Lavoro, nel quale si spiega che azienda e sindacati «si sono ampiamente confrontati, ma all’esito dell’incontro il Ministero, sentite le parti, ha registrato l’impossibilità di pervenire ad una soluzione conciliativa e le invita a ridurre al minimo i disagi per l’utenza».

Il conto alla rovescia per il 23 febbraio è scattato e la necessità di recuperare ulteriormente produttività e ridurre i costi, dopo i tagli già molto pesanti del 2014, appare un obiettivo di non facile soluzione.

Questo nonostante il formale ricompattamento dei giorni scorsi fra Etihad e i soci italiani (Unicredit, Intesa San Paolo e la neo statalizzata Mps) che, costretti dalla difficile situazione in cui versa l’ex compagnia di bandiera hanno contribuito a versare 470 milioni di euro tra liquidità e risorse destinate al rafforzamento patrimoniale.