Chi sono i prigionieri dell’islam? Innanzitutto i musulmani: questa è la conclusione cui sono arrivata leggendo l’ultimo libro di Lilli Gruber che s’intitola per l’appunto Prigionieri dell’islam (Rizzoli, pp. 352, euro 19,50). I titoli spesso suggeriscono diverse interpretazioni e, proprio in questo, sta il valore aggiunto che attira il lettore. E se c’è chi crede che i prigionieri dell’islam siamo noi, quali vittime predestinate del terrorismo o perché costretti a subire le invasioni di migranti, resterà certamente deluso.

L’inchiesta di Lilli Gruber si muove all’interno di un triangolo che indubbiamente ha cambiato la nostra vita: terrorismo, migranti e integrazione, un triangolo i cui vertici restano distanti. L’indagine spazia da un capo all’altro del nostro paese – dove si trovano le moschee più note – per poi andare a cercare le origini delle migrazioni causate dalle guerre e dal terrorismo – dall’Iraq alla Siria passando per la Libia.
Non viene trascurata la responsabilità dell’occidente e anche dell’Italia rispetto ai conflitti mediorientali, mentre emergono i dubbi rispetto al paventato intervento militare italiano in Libia. Dubbi che evidentemente hanno indotto a un ripensamento, almeno per ora.

La visione laica dell’autrice evidenziata nelle domande rivolte a donne e uomini musulmani, non trova sbocco nei suoi interlocutori più o meno «moderati», ma tutti osservanti. La condizione della donna nell’islam è giustificata con le varie interpretazioni dei testi, senza contare che anche l’uso del velo – le intervistate lo portano – risale a una lettura fondamentalista dell’islam, perché nel Corano non è previsto. A introdurre l’hijab, come segno distintivo e di appartenenza delle donne musulmane è stato il giurista Ibn Taymiyya nel XIV secolo.
«Il concetto di religione come stile di vita mi dà un breve brivido», scrive Gruber. Ed è proprio lo stile di vita rigidamente prescritto dalla religione che provoca inevitabilmente conflitti all’interno di una società laica o culturalmente soggiogata da una religione altra. «Il Califfato ha tanto appeal perché promette la creazione di uno spazio pubblico islamico», sostiene in una delle interviste contenute nel libro Claudio Galzerano, direttore della seconda divisione del servizio centrale antiterrorismo internazionale.

Gli intervistati (uomini e donne) restano nell’ambiguità; solo i laici – che esistono tra i musulmani anche in Italia – condividono i valori universali e sostengono la separazione tra stato e chiesa, passaggio imprescindibile per l’affermazione della laicità. Ma sono ignorati dai media e anche dall’inchiesta della giornalista dell’emittente La 7. Lo si è visto anche nella recente campagna elettorale per il voto amministrativo a Milano dove tra le candidate musulmane del Pd a fare notizia non era la somala laica Mariam Ismail, ma l’esponente dell’islam politico, Sumaya Abdel Qader del Coordinamento associazioni islamiche. E proprio Sumaya è stata la prima donna velata a far ingresso a palazzo Marino. Intervistata da Lilli Gruber, lamenta: «Cammini per strada e arriva il fischio, la battutina, quello che ci prova… Nel mondo arabo non era così».

Francamente, sembra di sentire una descrizione dei tempi passati, ora raramente si avvertono simili atteggiamenti, anzi forse a provocare maggiore attenzione è proprio il velo. E nei paesi musulmani, se ti trovi tra la folla, i maschi ti si strisciano contro anche solo per avere un contatto con un corpo femminile: effetto della frustrazione sessuale. Sumaya è anche impegnata in Aisha, un progetto contro la violenza sulle donne, pensato per le comunità islamiche. Come se la violenza di genere potesse trovare una soluzione nella religione! Tanto più se proprio la religione – e non solo l’islam – ritiene la donna responsabile del desiderio suscitato nell’uomo e teorizza la sottomissione della moglie al marito. Di conseguenza, ogni trasgressione viene punita.

E tuttavia non c’è dubbio che sia l’islam oggi a fornire quella identità, quell’appartenenza che l’occidente senza più valori (persi con il venir meno delle ideologie) non sa più offrire. È quanto emerge dal dialogo dell’autrice con Olivier Roy, esperto di islam politico. Se l’integrazione dei migranti si deve fare tuttavia vi sono valori non negoziabili: «diritti umani, la parità uomo-donna, la laicità e le leggi dello stato. Ma oltre questo baluardo si apre un ampio spazio di dibattito su questioni più pratiche. Come il velo, ma anche per esempio la costruzione di moschee tradizionali, con tanto di minareti, nel Paese dei campanili», sostiene Gruber. In effetti, il suono delle campane potrebbe essere preceduto, all’alba, dall’appello alla preghiera dei muezzin.

Del resto uno spazio per l’islam, seconda religione in Italia, è quanto chiedono – pur se con diverse accentuazioni – i rappresentanti delle diverse organizzazioni islamiche nel nostro paese, spesso rivali tra loro. E non tutti hanno il savoir faire dell’imam di Firenze Izzedine Elzir, «uomo snello ed elegante, con gli occhi verdi e una barba corta e curata», che Lilli Gruber sceglierebbe come «uomo da copertina per rappresentare un islam rassicurante e integrato».

Sicuramente Elzir è un uomo molto abile, anche politicamente, tuttavia la sua immagine rassicurante contrasta con l’Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoi), che presiede, tanto da essere accusato di praticare la taqiya (dissimulazione). L’Ucoi controlla la maggior parte delle moschee in Italia ed è la sua impronta radicale a garantirle lauti finanziamenti provenienti da Arabia saudita e Qatar.
Non si può parlare di terrorismo senza affrontare quella che è la sua arma principale: la paura. Questa sì tiene in ostaggio tutto l’occidente. E, soprattutto, viene sfruttata da politici che si oppongono alle migrazioni e all’integrazione, sostenendo che i terroristi arriverebbero sui barconi dei profughi. Ma «migrazione e terrorismo vanno tenuti separati», sostiene Gallerano, esperto di terrorismo: «I migranti non arrivano come terroristi. Se poi lo diventano è anche colpa nostra».

I vari interlocutori della giornalista, citati o nascosti dietro l’anonimato, concordano, con accentuazioni diverse, sul fatto che anche l’Italia è diventata un bersaglio del terrorismo, come effetto degli interventi internazionali.
Gli 007 italiani cercano di rassicurare affermando di avere un’esperienza storica nella lotta al terrorismo. Ma per contrastare veramente il terrorismo è necessaria la sensibilizzazione della popolazione (Gallerano), solo così si potrà evitare che cada nella trappola della paura.