Da quando la crisi finanziaria è cominciata, il tema della moneta e la discussione sul suo ruolo e soprattutto sulla sua forma hanno acquistato sempre più rilevanza. Una rilevanza più di natura divulgativa che propriamente accademica, che ha interessato più un pubblico curioso che gli addetti ai lavori.
La crescente popolarità dei Bitcoin ha poi fatto il resto, spostando l’interesse non tanto sulla natura e le funzioni della moneta ma sulla sua forma. Ed è di questo aspetto che si occupa, con taglio giornalistico, semplice e chiaro, il best-seller di David Wolman, dal titolo The End of Money, oggi tradotto con lo stesso titolo originario inglese da Laterza nella nuova collana «che futuro!», realizzata in collaborazione (non casuale) con la banca digitale «Che banca!» (pp. 244, euro 18).
In realtà il titolo è fuorviante. Sarebbe stato più corretto parlare di The End of Cash, ovvero «La fine del contante», piuttosto che della moneta. In effetti, i diversi capitoli del libro hanno come filo conduttore la dimostrazione dei diversi vantaggi che l’abolizione del contante potrebbe comportare.

Con piglio aneddotico, si fa l’esempio del maldestro terrorista-kamikaze, che alla vigilia di Natale del 2009, acquista a Lagos un biglietto di sola andata per Detroit, via Amsterdam, pagando in contanti il prezzo di 2381 dollari (con banconote di piccola taglia). Nessuno si insospettisce e solo la prontezza di alcuni passeggeri a bordo impedisce che l’aereo esploda sopra il cielo del Canada.

Oppure, si racconta di famosi casi di falsificazione di banconote, come nel caso del canadese Wesley Weber che diffuse a partire dal 2000 banconote fasulle per un controvalore di 7,7 milioni di dollari, costringendo la Banca Centrale a cambiare il design. Ma l’uso del contante, secondo numerosi report citati da Wolman, è soprattutto collegato a pratiche malavitose e all’evasione fiscale. E sono proprio questi due fattori a spingere sempre più a favore della riduzione e alla limitazione nell’uso del contante. Al riguardo, già a partire dai primi anni Ottanta si sono sviluppati negli Usa movimenti, più mossi da intenti religiosi che economici, per l’abolizione delle moneta metallica, come nel caso delle prediche del reverendo georgiano Guest, che auspica la fine del denaro, in quanto «strumento di satana».

Un chip per pagare

Ma anche a livello istituzionale ci si sta muovendo velocemente in questa direzione. Già alcuni paesi del Nord Europa hanno approvato piani per la limitazione del contante. In primo luogo procedendo a nazionalizzare la stampa delle banconote (Stati, Uniti, Cina, Russia e Giappone); in secondo luogo, imponendo forme di circolazione digitale e elettronica. È il caso, ad esempio, della Svezia, ma anche delle recenti disposizioni prese in Italia, per limitare l’uso di contante per transazioni superiori a 1.500 euro. Ed è ancora in corso il progetto per il pagamento delle pensioni per via digitale.

È evidente che l’innovazione tecnologica gioca un ruolo fondamentale. Non facciamo solo riferimento alle forme di trasmissione monetaria tramite bit ma anche allo sviluppo di innovazioni biotecnologiche, che potrebbero consentire in un futuro non troppo remoto di poter pagare con la pressione di un polpastrello, eliminando così qualsiasi strumento di intermediazione monetaria. L’idea di dotare il corpo umani di chip sottocutanei per favorire transazioni monetarie è già in fase di alta sperimentazione.

Non si può che concordare con la previsione che il contante, metallico o cartaceo, sia in via di estinzione. Ma ciò che non è sicuramente in estinzione è il ruolo e la funzione della moneta come espressione di un rapporto sociale di potere.

Di fatto, la storia dell’umanità è la storia dell’evoluzioni delle forme di pagamento, da quando i Lidi hanno cominciato a coniare la prima moneta metallica in Europa, fondata prevalentemente sull’oro, sino a passare alla moneta cartacea con la formazione dei grandi stati nazionali europei e la concentrazione dei diritti di signoraggio su base nazionale. Questo passaggio, dove la forma moneta non incorpora più in modo diretto il valore stesso che dichiara ma sarà comunque, seppur indirettamente, collegata ad unità di misura materiale (sistema gold-standard), subirà un altro drastico cambiamento, quando, nel 1971, venuta meno la parità aurea-dollaro fissata a Bretton – Woods nel 1944, la moneta si smaterializzerà completamente, diventato pura moneta-segno. Si tratta di cambiamenti nella «forma» della moneta essenzialmente finalizzate a velocizzare la sua circolazione, in coincidenza con lo sviluppo di un sistema prima mercantile e poi di accumulazione come è quello capitalistico. E ciò può avvenire proprio nel momento in cui le modalità della sua emissione e il potere che la moneta esercita tendono sempre più concentrarsi, prima negli Stati-Nazioni, oggi nelle oligarchie finanziarie.

ll tema della velocità della circolazione e del potere della moneta, fattori tra loro strettamente correlati, non sono mai affrontati nel testo. Questo è il limite principale del libro di Wolman: che si sofferma sull’evoluzione della «forma» senza indagare la «sostanza» e e la struttura di potere sottostante.

Con la virtualizzazione del moneta dopo Bretton Woods, la moneta non è più una merce o un bene. Non esiste più un’unità di misura del suo valore, come il metro per la lunghezza o il chilogrammo per il peso. Nel capitalismo contemporaneo, il suo valore non è più determinato esclusivamente da chi la emette in base alle riserve valutarie e auree. La sovranità monetaria (nazionale o sovranazionale, che sia), la cui governance è compito della Banca Centrale, tende a perdere sempre più significato.

In un sistema capitalistico che si basa su un’economia finanziaria di produzione, la quantità di moneta esistente viene, infatti, endogenamente determinata dal livello di attività economica che si registra e, sempre più, dall’evoluzione delle convenzioni finanziarie che regolano il mercato internazionale della finanza e delle valute. La Banca Centrale può solo cercare di aumentare o di ridurre la massa monetaria circolante (che oggi è piccola quota), ma nulla più. Tale possibilità viene oggi ulteriormente ridotta dal nuovo ruolo che hanno assunto i mercati finanziari, sia nel finanziare l’attività di investimento (tramite le plusvalenze generate), sia come creatori di titoli altamente liquidi (definita near money, quasi moneta).

Ostaggi della finanza

Nel momento stesso in cui la liquidità è pura moneta segno, essa sfugge a ogni controllo pubblico. Essa perde lo stato di «bene di proprietà pubblica». Il suo valore viene determinato di volta in volta dall’operare dell’attività speculativa dei mercati finanziari. Le sue funzioni di mezzo di pagamento e unità di conto (misura del valore), nonché di riserva di valore e di strumento di finanziamento dell’attività di accumulazione /valorizzazione, sfuggono a qualsiasi controllo. La moneta diventa così ostaggio delle aspettative che le oligarchie (o meglio, la dittatura delle oligarchie) dei mercati finanziari di volta in volta è in grado di esercitare. Oggi, possiamo affermare che la creazione di moneta-finanza è l’esatta espressione del «comunismo del capitale». Ne è riprova il fatto che le scelte statuali di politica monetaria sono in funzione della dinamica finanziaria.

La moneta contemporanea è, dunque, rappresentazione del bio-potere finanziario, in quanto il suo valore è determinato dalle convenzioni che l’oligarchia tecno-finanziaria è, di volta in volta, in grado di imporre.

Sono queste le trasformazioni che occorrerebbe approfondire: è possibile «La fine del potere della moneta»?