È stata l’estate più turbolenta per la Gran Bretagna dalla seconda guerra mondiale. Molto poté lo stress post-traumatico della Brexit, che ha catapultato Theresa May a Downing street dopo una breve e spietata resa dei conti fra i Tories e provocato nel Labour una lacerante frattura fra membri del partito – che avevano eletto leader Jeremy Corbyn – e i suoi colleghi deputati, che lo avevano sfiduciato a poche ore dall’esito referendario e dalle dimissioni di David Cameron.

Il voto postale per queste ri-primarie laburiste, volute a tutti i costi dai vertici del partito pur di liberarsi del proprio leader, è in atto. Ma per i centristi postblairiani, per i quali Corbyn è un pericolo peggiore di Theresa May, rischiano di finire peggio delle precedenti.

Secondo l’ultimo sondaggio YouGov, lo stesso Corbyn, impegnato in un secondo round contro il moderato Owen Smith, oggi vincerebbe il contest con una maggioranza ancora più lussuosa di quella – già ragguardevole – della prima tornata: 62% delle preferenze contro il misero 38 del rivale.

Un distacco umiliante, che dimostra a quanto poco siano valsi finora gli sforzi di tutto l’establishment politico, istituzionale e mediatico per sedare il sussulto democratico nel maggiore partito d’opposizione rappresentato dalla fulminante ascesa di Corbyn, con buona pace di Bbc e Guardian, schierati con precisione geometrica a fianco della stampa reazionaria nell’apparentemente impossibile compito di liberarsene.

Ma l’ex deputato di Islington North, una vita politica trascorsa al margine sinistro di un partito da tempo perfettamente integrato nella cogestione neoliberista dell’economia del paese e per questo deriso dalla stampa come dalla vulgata «modernizzatrice» blairista, non concede un millimetro. Sembra anzi trarre incessante energia da ogni attacco mediatico che gli viene puntualmente sferrato.

Il sondaggio, i cui esiti suonano un prematuro de profundis per la campagna di Smith, dietro la quale s’era arruolato più o meno per disperazione tutto il Parliamentary Labour Party, evidenzia anche un altro dato: la concentrazione dei corbyniani non è affatto prevalente solo nell’ecosistema sociale e politico londinese, si estende anche nelle aree del nord del paese, storicamente zoccolo duro elettorale laburista, dove il leader godrebbe del 63% contro il tremebondo 37 di Smith.

Né si tratta di millennials in preda a un pubescente sussulto idealista, come spesso sostenuto: benché Corbyn riceva il sostegno del 61% della fascia d’età 18-24 anni, in quella 40-59 supera comodamente il 60%.

Altrettanto controproducente si sta rivelando la vigorosa campagna mediatica volta a dimostrare che dietro Corbyn ci sia una cricca di residuati trotzkisti cripto-misogini.

Sebbene non passi giorno senza che qualche commentatore liberal non si stracci pubblicamente le vesti davanti alle pur ripugnanti ridde d’insulti ricevuti da alcune deputate centriste del partito sui social media, Corbyn gode di uno schiacciante 67% per cento del consenso delle iscritte al partito, contro il 33 dell’avversario.

Insomma, è un quadro talmente deprimente per Mr. Smith che viene legittimo chiedersi come abbia voglia di portare avanti una campagna tanto agonizzante contro un avversario che lo surclassa in ogni dipartimento quando l’esito del voto postale, messosi in moto nei giorni scorsi, si avvicina al galoppo il prossimo 24 settembre. Certo, la sua è stata una campagna irta di gaffe ed errori strategici: ma non è tanto l’immagine preconfezionata male e di fretta della sua candidatura a nuocergli, quanto il fatto, ormai inoppugnabile, che per una serie di fattori Corbyn è diventato l’uomo politico (non «antipolitico») più popolare di una Gran Bretagna che attraversa una fase cruciale della sua storia.

Altrimenti non si spiega l’inefficacia dei ripetuti tentativi di sabotarne l’ascesa da parte del Nec, il comitato esecutivo nazionale del partito laburista, che con l’introduzione di una clausola frettolosa quanto strampalata aveva impedito il voto a 130.000 membri iscrittisi subito dopo il coup orditogli dai colleghi deputati.

Inoltre, anche l’altro spauracchio cui si ricorre per minare quest’intollerabile Corbyn-consenso, quello della presunta sua «ineleggibilità», sta cominciando a perdere la sua efficacia. Il numero d’iscritti al partito nei pochi mesi dalla sua prima elezione è raddoppiato.  (Il totale degli iscritti, secondo il Guardian, ora arriva a 500mila persone, il Pd ne ha 385mila, ndr).

Una sua seconda vittoria a queste primarie, ravvicinata ma più schiacciante della precedente, significherebbe l’auspicata e fin troppo tardiva relegazione dell’ex maggioranza moderata a un ruolo marginale, raddrizzando la barra del partito verso il ritorno a una dignità socialdemocratica brutalmente liquidata dall’ex-rampantismo dei vari Mandelson, Brown e Blair.