Lo Stato-partito: le riforme volute da Erdogan conducono all’identità tra Stato e partito di governo. Con lui a capo di tutto.

Continuano serrate le discussioni in parlamento sugli emendamenti alla costituzione, avviate il 10 gennaio. Nove gli articoli approvati finora con una maggioranza di 341-343 voti rispetto ai 330 necessari. Il partito Hdp (con 10 deputati in carcere) continua la campagna di boicottaggio del voto, mentre l’altro partito di opposizione Chp ha finora votato contrario, unendosi all’Hdp solo in occasione della votazione sulla sorveglianza parlamentare.

Tra le più accese la quinta e la sesta votazione, con le quali vengono tolti al parlamento molti poteri di verifica sull’operato dell’esecutivo, tra cui l’abolizione del voto di sfiducia. Al presidente è esteso il potere di governare attraverso decreti legge e potrà inoltre rimandare leggi al parlamento nel caso le ritenga incostituzionali, oppure contestare i provvedimenti del parlamento presso la Corte Costituzionale.

Una delle votazioni ha riguardato il potere giudiziario, per il quale accanto al requisito di “indipendenza” è stato aggiunto un imprecisato requisito di “imparzialità”. Innalzato il numero dei parlamentari da 550 a 600, giustificato secondo il governo dalla necessità di migliorare la rappresentanza dell’accresciuta popolazione, ed abbassata l’età minima per l’eleggibilità a deputato, da 25 a 18 anni, mentre viene parzialmente eliminato il requisito di aver assolto il servizio militare.

Passato anche l’articolo 9, secondo il quale il parlamento può proporre un’indagine parlamentare di un mese a carico del presidente. Al termine del mese d’indagine è possibile creare con un voto segreto con maggioranza di 3/5 una commissione di 15 parlamentari che esamini il caso.

La commissione ha a disposizione fino a tre mesi per indagare e presentare i risultati alla camera. Il presidente può quindi essere rinviato a giudizio alla Corte Suprema con una votazione parlamentare di 2/3. La Corte deve decidere entro 4 mesi, durante i quali il Presidente non può adottare provvedimenti.

Introdotto l’obbligo di tenere in contemporanea le elezioni parlamentari e presidenziali ogni cinque anni. Viene inoltre rimosso il requisito di imparzialità del presidente della repubblica, vincolato ad un giuramento nella costituzione vigente, una mossa che spiana la strada alla possibilità che il presidente resti anche capo del partito d’appartenenza.

Deniz Baykal, parlamentare di spicco del partito repubblicano Chp, ha dichiarato che con questa riforma «si vuole creare lo Stato-partito», contestando che si stanno demolendo i confini di separazione dei poteri. Duro anche il segretario Kilicdaroglu: «La presidenza non è il luogo della tirannia sulla nazione né per l’ego illimitato di una sola persona».

Erdogan dal canto suo non sembra prestare orecchio e contrattacca paventando la possibilità di elezioni anticipate: «Se le opposizioni rendono il lavoro parlamentare impossibile, le elezioni anticipate sono una possibilità», conscio che molti parlamentari sono restii ad affrontare nuove elezioni per timore di perdere il seggio, senza contare che la Turchia si trova sotto regime di stato di emergenza, incompatibile con un momento di campagna elettorale libero e sereno.

Tuttavia il partito Hdp ha dichiarato attraverso il portavoce Ayhan Bilgen il proprio favore ad elezioni anticipate «anche se il governo alzasse la soglia di sbarramento al 15%». La minaccia di elezioni anticipate è percepita solo un bluff per tenere in riga i parlamentari impegnati a votare gli emendamenti. Anche il Chp ha dichiarato attraverso il vice capogruppo Ozgur Ozel che elezioni anticipate sarebbero una soluzione preferibile alla deriva autoritaria dettata dalle modifiche costituzionali.

Reazioni critiche alla riforma arrivano anche dall’Europa: il Partito socialista europeo dal suo account Twitter denuncia: «Ma non era Erdogan che nel ’93 sosteneva che il presidenzialismo fosse un prodotto dell’imperialismo americano?».