Un semplice incidente di percorso?

La notizia è quella che Borsa italiana non ha ammesso alla quotazione in Borsa le azioni della Banca Popolare di Vicenza, quotazione che avrebbe dovuto scattare nei prossimi giorni; il rifiuto è da mettere in relazione al fatto che, banalmente, non era assicurato una adeguato livello di flottante ai titoli. In effetti, quasi nessuno si è azzardato a sottoscrivere una qualche quota dell’aumento di capitale della banca, aumento che dovrebbe raggiungere complessivamente l’ammontare di 1,75 miliardi di euro. Così praticamente tutto l’importo in gioco dovrà essere sottoscritto dal neonato fondo Atlante, non lasciando però a questo punto praticamente alcuno spazio all’esistenza di un numero adeguato di titoli negoziabili sul mercato; viene meno così un presupposto basilare per la quotazione di un titolo.

Quello che viene subito in mente è un sentimento di incredulità: possibile che nessuno tra i tecnici che hanno seguito l’operazione e tra gli esperti del governo si sia accorto in questi giorni di una cosa così banale?

Comunque l’evento è aggravato dalla sospensione dalla contrattazione di diversi altri titoli bancari tra i più deboli.

Può darsi, anzi appare probabile, che la crisi sia arginata facilmente nei prossimi giorni; ma non verrà certo meno il grande nervosismo dei mercati ogni volta che si parla delle banche italiane, nervosismo palpabile da molti mesi se solo si scorrono ogni tanto i giornali internazionali specializzati.

Tale nervosismo deriva da diverse cause, alcune più immediate, altre più di fondo.

Per quanto riguarda il primo tema, dobbiamo ricordare che i crediti problematici delle banche italiane ammontano a circa 360 miliardi di euro, una cifra pari a circa il 20%di tutti i prestiti a suo tempo concessi dal sistema nazionale. La parte più compromessa di tale cifra, pari a circa 210 miliardi di crediti in sofferenza, è coperta in parte da accantonamenti passati e la cifra netta risulta così pari a circa 85 miliardi, dei quali circa 40 potrebbero forse essere incassati vendendo i crediti sul mercato al miglior offerente. Se aggiungiamo alla somma restante, pari a 45 miliardi, una frazione dei residui 150 miliardi di crediti semplicemente incagliati, otteniamo un valore pari a 50-55 miliardi. A fronte di tale buco, stanno le modeste risorse messe in campo di recente dal governo con la creazione di due fondi, prima il cosiddetto GAECS, ora Atlante.

Il problema è allora: da dove verranno le risorse residue? Nessuno sembra saperlo. E qui sta la questione.

I mercati internazionali sono sin troppo coscienti di tale difficoltà e, plausibilmente, è pronto a venire in nostro soccorso solo qualche fondo avvoltoio, che spera di approfittare delle difficoltà per raccogliere qualche pezzo del nostro sistema a prezzi stracciati.

Ma il caso delle banche italiane e, più in generale, dell’economia italiana –ricordiamo che essa è sostanzialmente tenuta in piedi non certo dai proclami del nostro amabile presidente del consiglio, ma dagli acquisti di titoli del nostro debito pubblico da parte di Draghi- è solo un aspetto di un grande nervosismo presente da qualche tempo negli ambienti economici e politici internazionali.

In questi mesi un certo numero di profondi conoscitori dei meccanismi della finanza internazionale, da Mervyn King, già governatore per circa dieci anni della Banca d’Inghilterra, a Alvin Turner, già responsabile della FCA, l’organismo di controllo del sistema finanziario britannico, nei loro interventi pubblici, in articoli, libri, interviste, mostrano una grande preoccupazione per le prospettive a breve dell’economia e della finanza, arrivando a pronosticare come plausibile una prossima nuova crisi.