L’aumento dell’occupazione è merito della legge Fornero sulle pensioni. Altro che Jobs Act. Questo è il bilancio dei dati di ottobre comunicati ieri dall’Istat. Si svela un altro dettaglio della crisi italiana: i più colpiti sono i lavoratori autonomi e i giovani lavoratori venti-trentenni, anche loro freelance o precari in generale. Il mercato italiano del lavoro è l’immagine di una frattura generazionale, fondata sulle diseguaglianze: i lavoratori anziani lavorano, i giovani sono disoccupati. O precarissimi. Ma tale frattura è il risultato di un orientamento consolidato in tutte le politiche del lavoro renziane: prima vengono i dipendenti, poi le altre forme del lavoro, quelle indipendenti.

I dati Istat confermano: dopo la crescita occupazionale registrata tra giugno e agosto (+0,5%) e il calo di settembre (-0,2%), a ottobre la stima degli occupati è diminuita ancora dello 0,2% (-39 mila). «Il calo è determinato dagli indipendenti (-44mila, pari al -0,8%), tra cui rientrano i lavoratori autonomi– si legge nel report – mentre i dipendenti restano sostanzialmente invariati». A ottobre sono diminuiti i disoccupati (-13mila). Ma questo non significa che sono stati creati posti di lavoro. Sono, invece, aumentati gli inattivi (+32mila). Sull’anno sono 196 mila in più coloro che non lavorano né cercano un posto. Un fallimento.

Su base annua, l’occupazione è cresciuta dello 0,3% (+75 mila persone occupate), mentre è calato il tasso di disoccupazione all’11,5%. Questo andamento dipende dai dipendenti assunti con il Jobs Act che tuttavia diminuiscono se si prendono in considerazione i primi otto mesi della riforma renziana: sono meno 18 mila, per non parlare degli indipendenti (partite Iva+parasubordinati: -92 mila). Dunque, il Jobs Act ha messo ancora di più al lavoro una generazione a cui la legge Fornero ha allungato, e di molto, l’età della pensione. Il dato è scolpito nella pietra dall’Istat: negli ultimi tre anni si è registrata una crescita costante degli occupati over 50 (+13,9%), pari a circa +900mila tra gennaio 2013 e ottobre 2015. In generale, il tasso di occupazione è diminuito di 0,1 punti percentuali, arrivando al 56,3%. È il più basso d’Europa: la Spagna – per prendere un paese paragonabile al nostro – supera il 59%.

Tutto questo ha penalizzato i lavoratori giovani e maturi tra i 35 e i 49 anni, cioè il cuore della forza-lavoro attiva, quella che si presume sia la più «produttiva» nell’arco di una carriera professionale: in 450 mila persone hanno perso il lavoro. Questa è la notizia: la crisi prima, e oggi le politiche renziane, confermano che sono questi i soggetti più colpiti dalle politiche del lavoro. Insieme, naturalmente, ai giovani. A ottobre la disoccupazione giovanile (15-24 anni) è salita al 39,8%, +0,3 punti percentuali rispetto a settembre.

Non va meglio a chi ha tra i 25 e i 34 anni: la disoccupazione cresce al 17 per cento. Tra gli under 35 gli occupati si sono ridotti in tre anni di oltre 300mila unità (-6,3%) anche se negli ultimi mesi si è registrato un miglioramento: a ottobre il loro livello è tornato ai valori di metà 2014. Nel tempo della crisi, e delle politiche del lavoro targate Renzi-Poletti, si è creata una gara tremenda (a livello statistico) tra i senza lavoro under e over35: 1 milione 458 mila contro 1 milione 469 mila. Ma allora, di preciso, a cosa è dovuto l’aumento dell’occupazione)? Dalla riforma dei contratti a termine che porta il nome del ministro del lavoro Poletti, il primo provvedimento preso dal governo attuale in materia: si parla di 203 mila unità. Occupati, dipendenti, certamente. Ma precari e a termine. In una parola: stabilmente precari che scadono alla fine degli incentivi di Stato.

Lo si sapeva sin dall’inizio, ma è bene ribadire a cosa è servito il Jobs Act: «A regolarizzare le situazioni che potremmo definire borderline, avvenuta usufruendo delle novità del Jobs act e degli incentivi. Ho esperienza diretta – ha spiegato Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes – di aziende che hanno preferito assumere persone che avevano come parasubordinati o false partite Iva o altre forme di questo tipo». In altre parole la zona grigia tra parasubordinazione e lavoro dipendente è stata (ri)portata nel perimetro della subordinazione precaria. La conferma è arrivata ieri da Poletti. L’aumento dell’occupazione è dovuta al riassorbimento di parasubordinati e «false partite Iva» in un rapporto di lavoro dipendente. A questo è servito il costosissimo e irrazionale Jobs Act: assicurare 3 miliardi di euro in sgravi alle imprese e avere, in cambio, la stabilizzazione degli ultra cinquantenni che un lavoro già lo avevano, anche se in forma precaria. «In piena corrispondenza con la bassa crescita (zerovirgola) il lavoro non cresce. Anzi, si confermano dati preoccupanti», come il «costante aumento degli inattivi (rassegnati, sfiduciati)», mentre «continua a risalire il lavoro a termine» ha detto il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy.
Cambiamo genere di discorso. Dall’analisi dei dati, passiamo alle cavatine e agli assoli di Palazzo Chigi.

Così il presidente del Consiglio Renzi ieri ha descritto la situazione di un mercato del lavoro in cui i lavoratori poveri e anziani sono attivati per un lavoro non stabile, mentre vengono penalizzati quelli giovani, precari e disoccupati: «La disoccupazione che era quasi al 14% all’inizio dell’azione del Governo, adesso è sotto il 12%. Le riforme danno frutti, l’Italia riparte. Avanti tutta, adesso. C’è ancora molto da fare e possiamo farlo insieme, con la fiducia di chi sa che apparteniamo a un grande Paese, forte e orgoglioso. Viva l’Italia».