«Una devastazione come in Irpinia nel 1980». Non è solo un’impressione quella di Carlo Meletti, responsabile pericolosità sismica dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia: è una prima valutazione fatta sulla base delle ispezioni che i suoi colleghi dell’Ingv stanno facendo in queste ore, perlustrando a tappeto la zona colpita dal sisma, e con i quali è in costante contatto.

Perché l’Irpinia e non L’Aquila? Perché è crollato quasi tutto ad Amatrice?

Sì, dai primi dati sembra che i crolli siano essenzialmente dovuti alla tipologia povera del costruito. Muri fatti con pietrame.

Amatrice ha pagato il prezzo della sua passata povertà? L’edificio rosso nuovo che si vede nella foto dall’alto (anche ieri in prima, ndr) è rimasto in piedi…

In realtà anche quello sembra seriamente danneggiato, da buttare giù. Nel filmato fatto dal drone dei Vigili del fuoco si vede chiaramente che è spezzato in due. Ed essendo di recente costruzione vuol dire una sola cosa: che il cemento armato non è stato legato bene con le travi dei pilastri. All’Aquila a volte il cemento non era neppure armato, mancava del tutto il ferro dentro.

Per essere antisismico un palazzo deve prima di tutto essere costruito come si dice, a regola d’arte? Questo spiega perché la torre medievale di Amatrice è rimasta in piedi ed edifici molto più moderni come l’ospedale o la scuola si sono sbriciolati?

Amatrice era proprio sopra al terremoto, che è stato superficiale. In questi casi il grosso della scossa più verticalea, immagino che se fosse stata più orizzontale la torre dell’orologio oscillando avrebbe avuto una maggiore probabilità di crollare. Anche in Emilia nel 2012 alcuni campanili stretti e lunghi hanno resistito perché l’accelerazione era verticale. La scuola era degli anni ’30 ma risistemata nel 2012 con tecniche modernissime, addirittura fibre di carbonio: ci sarà modo di capire cosa sia successo e se i lavori siano stati fatti bene. In generale possiamo dire che la prima norma antisismica è avere un muratore che sa fare bene il suo mestiere, che usa il filo a piombo come facevano i romani o gli egizi. Poi naturalmente ci sono molte altre regole da seguire ma nel terremoto del Sannio del 1688, un paese amministrato dai Borboni fu distrutto totalmente da un terremoto di grado 6,5, lo Stato pontificio mandò i suoi architetti che dopo attente analisi compilarono un decalogo per la ricostruzione e trasformarono Cerreto Sannita nel gioiello che si può tuttora ammirare (vedi il manifesto di ieri, ndr). La regola basilare era l’utilizzo di pietra squadrata con angolo a novanta gradi e di travi in pietra sugli stipiti. Molto semplice ed è ancora lì.

E a L’Aquila cosa è successo?

L’Aquila non doveva crollare, dietro la parte crollata ci sono le magagne evidenziate nelle perizie del tribunale. Non doveva crollare con una magnitudo di 6, molto vicina a quella di Amatrice. Con un sisma così si può morire solo in Italia, in Grecia e forse in Turchia, non altrove. In California e in Cile quasi non se ne sarebbero accorti. Il Cile ha molto da insegnare. Lì nel 1960 c’è stata la scossa più forte mai registrata dagli strumenti, 9,5. Poi è stato tutto ricostruito con una normativa seria. Nel 2010 hanno subito un terremoto di magnitudo 8,8 e ha fatto pochissime vittime. Dagli Stati Uniti un’équipe di ricercatori ha stabilito un nesso tra numero delle vittime a parità di magnitudo e tasso di corruzione calcolato sulla base degli indici internazionali che oggi esistono. Il Cile, com’è noto, è considerato un paese non corrotto, al contrario dell’Italia. E questo è il primo fattore di sicurezza, il secondo è una responsabilità civile molto forte che lega per sempre il costruttore o restauratore, e il suo committente, con il manufatto, anche dopo successive vendite.

In Umbria per la ricostruzione dopo il terremoto la Regione ha dato molti incentivi ai privati, forse non è un caso che oggi Norcia abbia resistito?

Nel ’79 in una zona poco a ovest, colpita da un sisma di magnitudo 6, non ci fu una devastazione paragonabile. Era l’epoca di Zamberletti e del dopo- Friuli, l’inizio delle vicende sismiche moderne nel nostro paese.

Finanziare dappertutto le ristrutturazioni antisismiche delle case private, si dice costerebbe troppo.

La Lunigiana dimostra il contrario. Nel ’95 un terremoto del 5,3 ha fortemente danneggiato la zona. La Regione Toscana ha dato 20 milioni di lire a famiglia per interventi antisismici su edifici in muratura. L’intervento migliore in termini di costo-beneficio sono le catene di ferro da una facciata all’altra e questo è stato fatto. Gli investimenti sono triplicati perché le famiglie che ne hanno approfittato per fare altri lavori a proprie spese e le ditte edili hanno acquisito «un know how». Nel 2013 in Lunigiana c’è stato un nuovo sisma del 5,3 e in sostanza non ci sono stati danni. La prevenzione si può fare e dà risultati.

Ma si può fare in tutte le zone rosse e viola della mappa dell’Ingv?

La mappa colorata è diventata un’icona pop dei nostri tempi. L’abbiamo fatta, ma a che serve se non ci agganci un’azione di prevenzione?

Invece cosa si dovrebbe fare?

Ancora oggi per capire lo stato degli edifici mi devo basare sui dati poveri del censimento Istat che aveva alcune domande sulla tipologia abitativa. Sono gli unici dati disponibili e se ne ricava che l’80% delle case italiane è precedente al 1981, cioè sono state costruite prima della ancor blanda prima normativa antisismica. Quanto a scuole e ospedali c’è solo una mappatura finanziata dalla Protezione civile nel Centro Sud grazie ai lavori socialmente utili a metà anni ’90. Che la prefettura dell’Aquila dovesse crollare era già scritto in quel librone.

E non è stato fatto nulla? Le scuole…

Qualcosa è stato fatto dopo S. Giuliano di Puglia ma ancora troppo a spot. In Italia c’è la sindrome Nintoo («not in my terms of office»), non si fa niente se non è spendibile elettoralmente subito. Erdogan, che evidentemente non ha questo problema, ha varato nel 2012 un piano ventennale per abbattere e ricostruire 7 milioni di case: proprietari e costruttori ci guadagnano con un aumento delle volumetrie. Noi potremmo fare di meglio, credo.