Anis Amri si era offerto come martire-suicida, aveva cercato di procurarsi armi, consultato on line le istruzioni per costruire una bomba, e stretto contatti con la galassia di predicatori salafiti incistata in Germania. Di più: secondo il magazine Focus la polizia criminale del Nordreno-Vestfalia era a conoscenza – fin dal 21 luglio – del piano dell’attacco terroristico del 24 enne tunisino, dopo la «soffiata» di un agente sotto copertura.

Cinque indizi inquietanti, più pesanti delle due prove sul tavolo della polizia di Berlino: le impronte digitali di Amri rinvenute ieri sul volante del camion che lunedì ha falciato la folla a Breitscheidplatz, e il suo portafoglio a disposizione degli inquirenti già da tre giorni.

Dall’Italia il Dipartimento amministrazione penitenziaria fa sapere di aver messo Amri sotto osservazione quando era in  carcere, per comportamenti sospetti durante la detenzione in Sicilia tra il 2011 e il 2015, e di averlo poi segnalato al Comitato analisi strategica antiterrorismo. Nella nota redatta nel giugno 2016, quindi dopo la sua scarcerazione, dalla Digos di Catania Amri viene tratteggiato come un «personaggio di indole violenta, carismatico, di stretta osservanza dei principi religiosi islamici».

Nella capitale continua senza sosta la caccia, si ritiene che il killer sia ancora armato: ieri alle 18 sono state chiuse le stazioni della U-Bahn mentre gli agenti delle squadre speciali Sek hanno fatto irruzione (con granate abbaglianti) nella moschea di Perlberger strasse a Moabit, da tempo al centro delle indagini sull’integralismo islamista.

E procede in parallelo il riconoscimento delle vittime. Confermata, dopo il test Dna, la morte di Fabrizia Di Lorenzo, 31 anni, di Sulmona, dipendente della ditta di trasporti 4flow di Charlottenburg. Ieri mattina la magistratura tedesca ha informato il ministro degli esteri Alfano che ha reso pubblico il decesso. Mentre il premier Gentiloni ha ricordato «una cittadina esemplare uccisa dai terroristi» così come il presidente della Repubblica Mattarella che ha espresso «il grande dolore per la sua morte e la vicinanza dell’Italia alla famiglia».
Ufficiale anche il decesso di Dalia Elykim, 60 enne israeliana e di altri due tedeschi di 32 e 53 anni residenti in Brandeburgo, mentre non si conosce ancora l’identità degli altri 8 morti e dei 56 feriti (12 gravi).

Non si fermano le ricerche di Amri nell’area Schengen dopo la diffusione dell’identikit con taglia di 100 mila euro e l’appello («Consegnati alla polizia») del fratello Abdelkader. Gli sviluppi sono stati seguiti in prima persona dalla cancelliera Angela Merkel, ieri nell’Ufficio della polizia criminale a Treptow insieme ai ministri dell’interno Thomas de Maizière e giustizia Heiko Maas.

Qui si analizzano le ultime tracce del tunisino. Orme flebili eppure fondamentali a ricostruire il suo percorso non solo di radicalizzazione.

A Berlino la polizia ha continuato a battere l’ambiente dei pusher a Görlitzer park mentre scandagliava il clip di 7 secondi che mostra il giovane magrebino sull’Oberbaumbrücke, postato il 26 settembre su Facebook e “scoperto” ieri dal network investigativo inglese Bellingcat. L’altro fratello di Amri, Walid, ha ripetuto agli investigatori che i contatti della famiglia con Amis si sono interrotti oltre due settimane fa.

Nessun risultato invece è emerso dal blitz delle teste di cuoio a Emmerich e Dortmund. Dalle 5 oltre 100 agenti hanno setacciato gli appartamenti dove si suppone avesse vissuto Amri. Quattro le persone fermate e poi rilasciate dalla polizia del Nordreno-Vestfalia. Senza soluzione anche la perquisizione di tre alloggi nei quartieri berlinesi di Kreuzberg, Moabit e Prenzlauer Berg.

Nel pomeriggio a Berlino è tornata la psicosi-attentato. A Pankow, riferisce il quotidiano Tagesspiegel, è stato chiuso ed evacuato un centro commerciale dopo il ritrovamento di un oggetto sospetto.

Cronaca locale, che non fa comunque dimenticare i terribili sospetti sui “buchi” nelle forze di sicurezza tedesche. A fianco della rivelazione di Focus sulla conoscenza della polizia renana del piano di Amri fin dall’estate, le indagini poco accurate sulla galassia di integralisti legata a doppio filo a Ahmad Abdulaziz Abdullah A. noto (anche al ministro dell’interno del Nordreno-Vestfalia Ralf Jäger) come Abu Walaa, predicatore salafita arrestato a inizio novembre. Su di lui, secondo Der Spiegel, cala il pesante sospetto che possa essere il “capo” della Rete che da gennaio a luglio ha raccolto 2 milioni di euro per l’Isis e reclutato i foreign fighter tedeschi da inviare in Siria tra cui, ipotizza il settimanale, anche Amri che sarebbe stato poi “scartato”. Più certi invece risultano il tentativo del tunisino di procurarsi armi attraverso la darknet e le sue visite ai tutorial che insegnano on line a costruire ordigni con materiali rudimentali

L’unica buona notizia di ieri ha riguardato la riapertura del mercatino di natale di Breitscheidplatz che ieri alle 11.30 è tornato ad affollarsi di berlinesi e turisti. E la solidarietà alla famiglia di Lukasz Urban, autista polacco morto nel tentativo di fermare la folle corsa del suo camion dirottato dall’attentatore.

«Abbiamo ricevuto molte offerte di sostegno finanziario alla famiglia di Lukasz, che lascia moglie e figlio di 17 anni» fa sapere Ariel Zurawski, cugino della vittima. Domani, davanti alla Porta di Brandeburgo, è atteso il concerto in memoria delle vittime.