Paul, 14 anni, orfano, è uno degli 87 minatori o ex minatori incontrati da Amnesty International per redigere il rapporto pubblicato ieri sullo sfruttamento minorile nelle miniere di cobalto in Congo. Paul ha iniziato a lavorare nella miniera a 12 anni e ora ha già i polmoni a pezzi, dice: «Passo praticamente 24 ore nei tunnel. Arrivo presto la mattina e vado via la mattina dopo. Riposo dentro i tunnel».

L’Unicef, calcola che circa 40 mila bambini lavoravano nelle miniere delle regioni meridionali della Repubblica Democratica del Congo. Prevalentemente nelle miniere di cobalto,, minerale che serve per produrre batterie per i telefonini e per le auto e di cui la Repubblica democratica del Congo produce quasi metà del fabbisogno mondiale.

Amnesty ha ricostruito la filiera: attraverso la Congo Dongfang Mining (Cdm), interamente controllata dal gigante minerario cinese Zheijang Huayou Cobalt Ltd (Huayou Cobalt), il cobalto lavorato viene venduto a tre aziende che producono batterie per smart phone e auto: Ningbo Shanshan e Tianjin Bamo in Cina e L&F Materials in Corea del Sud. Queste ultime riforniscono le aziende che vendono prodotti elettronici e automobili.

Amnesty ha contattato 16 multinazionali che risultano clienti delle tre aziende ma solo una ha ammesso la relazione. Le aziende di apparecchi elettronici o batterie auto fanno lucrosissimi profitti, calcolabili in 125 miliardi di dollari l’anno, e non riescono a dire da dove si procurano le materie prime mentre in Congo i bambini minatori – senza protezioni come guanti e mascherine – perdono la vita: almeno 80 tra settembre 2014 e dicembre 2015.