Una pioggia di tweet per avere verità. È la nuova azione pensata da Amnesty International, all’interno della campagna “Verità per Giulio”, e diretta al governo italiano. Con un obiettivo chiaro: fare pressioni perché Farnesina e Palazzo Chigi attivino le misure «immediate e proporzionali» promesse mesi fa di fronte all’apatia egiziana e tenere accesi i riflettori sulla campagna repressiva del Cairo che soffoca come mai prima la società civile. I numeri non fanno che moltiplicarsi: 41mila prigionieri politici, quasi duemila arrestati solo ad aprile, 1.700 desaparecidos nel 2015, 754 omicidi extragiudiziali nei primi cinque mesi del 2016, processi di massa e condanne a morte contro membri o sostenitori dei Fratelli Musulmani e contro giornalisti.

«Internazionalizzare» la pressione sull’Egitto è la parola d’ordine, spiegata in una lettera inviata al ministro degli Esteri Gentiloni. Ne abbiamo parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

Con la Twitter Action prevista per il 25 e il 26 giugno la società civile italiana torna lo strumento di pressione su Roma

La campagna “Verità per Giulio” andrà avanti d’ora in poi facendo leva sulle pressioni politiche alle istituzioni italiane perché nessun passo avanti è stato compiuto. Con la Twitter action del 25 e 26 giugno [date simboliche, il 25 cade a 5 mesi dalla scomparsa al Cairo di Regeni, il 26 è la Giornata internazionale per le vittime della tortura] avremo come riferimento la Farnesina e Palazzo Chigi perché nella fase attuale il timore è che le pressioni sull’Egitto calino invece di aumentare. Spero sia un’azione di grande impatto, frutto della mobilitazione della società civile.

“Internazionalizzare” la questione significa utilizzare gli strumenti internazionali che esistono già, come i meccanismi Onu nella Convenzione contro la tortura del 1984, illustrati nella lettera inviata ieri a Gentiloni: l’articolo 30 prevede che, a fronte di una controverisa sull’applicazione della Convenzione, ogni Stato aderente può promuovere un’azione nei confronti di quello che l’avrebbe violata. Allo stesso modo penso che l’Italia debba mettersi alla guida di un’azione globale: il governo dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di promuovere l’adozione, nell’ambito del Consiglio dei diritti umani Onu, di una dichiarazione congiunta di un numero notevole di Stati sulla situazione pessima dei diritti umani in Egitto.

Eppure finora il governo italiano non ha mantenuto le promesse. Dopo il richiamo dell’ambasciatore nessun’altra misura è stata adottata mentre il premier Renzi si limita a dire che Roma segue ancora la vicenda

Le istituzioni italiane hanno il desiderio che questa vicenda si chiuda, possibilmente in senso soddisfacente. Ma ho la sensazione che prevalga l’esigenza di normalizzazione dei rapporti con l’Egitto. Per questo rendere pubblico il nome del nuovo ambasciatore è stata una mossa intempestiva. A ciò si aggiunge un atteggiamento di delega verso la Procura di Roma: se la Procura non prende posizione, neanche il governo la prende; se la Procura lamenta di aver ricevuto materiale insufficiente o contradditorio, allora il governo interviene. Non deve essere la magistratura a dettare la linea. Allo stesso modo le istituzioni riprendono vita solo quando la famiglia di Giulio parla, con un carico di dolore immenso, che succeda alla Camera dei Deputati o al parlamento europeo .

A proposito di Europa, come valuta il comportamento di Bruxelles, la cui commissione annuncia il dialogo con Il Cairo per la questione migranti pochi giorni dopo l’incontro del parlamento con i genitori di Giulio, che hanno chiesto di considerare l’Egitto paese non sicuro?

Non è la prima vola che il parlamento si muove a difesa dei diritti umani e la commissione fa il contrario. Non mi meraviglia. Il tema del ruolo dell’Egitto come partner strategico era stato già annunciato dal presidente egiziano al-Sisi, o meglio minacciato, nell’intervista a Repubblica. Se si continua a preferire l’esternalizzazione delle responsabilità alla loro condivisione si arriverà a fare dell’Egitto il partner a cui delegare il blocco delle partenze, come accade già con la Libia. Così, dopo la risoluzione dello scorso marzo del parlamento europeo che definiva Giulio “cittadino europeo”, la risposta delle altre istituzioni europee si è mossa in senso opposto. In questo modo non è l’Egitto a essere isolato, ma l’Italia.

Nei giorni scorsi polemiche si sono sollevate anche in merito al ruolo dell’Università di Cambridge, tra accuse all’ateneo e alzate di scudi a sua difesa. Qual è la posizione di Amnesty in merito?

Noi siamo convinti da sempre che la verità sulla morte in Giulio si trovi al Cairo e che alla ricerca della verità debbano partecipare tutti. Se devo prendere una parte, prendo quella della Procura di Roma che ha mosso una rogatoria per avere informazioni da Cambridge. È sorprendente che abbia avuto esiti diversi da quelli sperati. Certo, se questo rumore sull’università ha come conseguenza l’attenuazione delle responsabilità di al-Sisi, non ci sto. Ma non mi piace nemmeno lo schierarsi a spada tratta con Cambridge se non collabora.