«Il verdetto di colpevolezza per il soldato Elor Azaria ci fa capire a che punto siamo in Israele. I comandi militari, il capo di stato maggiore Eisenkot, sia pure con le ambiguità che ben conosciamo, non vogliono il far west (nei territori palestinesi occupati) e chiedono ai soldati il rispetto degli ordini e del codice (militare). Questa linea non è condivisa da un’ampia porzione di israeliani, forse la maggioranza, che invece considera il condannato un buon soldato che ha fatto la cosa giusta. E il fatto che anche i laburisti chiedano il perdono per Azaria contribuisce a mettere in una luce positiva un militare che ha commesso un omicidio». Questa è la fotografia che l’opinionista Michael Warschawsky ci faceva ieri sera a commento di una giornata di forte tensione a Tel Aviv – con scontri tra polizia e dimostranti di destra – dopo la lettura della sentenza della Corte militare di Tel Aviv che ha giudicato responsabile di omicidio colposo Elor Azaria, il soldato che lo scorso 24 marzo a Hebron uccise a sangue freddo Abdel Fattah al Sharif, un palestinese ormai moribondo – era stato ferito gravemente da colpi di arma da fuoco dopo che aveva accoltellato un militare – e non in grado di nuocere. Tensioni che ora dalle strade si trasferiscono in politica e sui media in attesa del 15 gennaio, quando i giudici militari comunicheranno la pena detentiva per il soldato giudicato colpevole.

In prigione Azaria dovrebbe rimanerci poco nonostante la corte militare, presieduta dalla giudice Maya Heller, abbia respinto la tesi della difesa di un atto compiuto per proteggere i soldati e i civili che erano intorno al palestinese ferito. Azaria ha spiegato di aver sparato ad Abdel Fattah al Sharif – un colpo alla testa esploso da circa tre metri di distanza – nel timore che il “terrorista” avesse sotto la giacca una cintura esplosiva. I giudici hanno dato pieno credito alle testimonianze di altri soldati e ufficiali che hanno riferito dell’intenzione proclamata dal condannato di «dare la morte che merita» al palestinese che aveva ferito un commilitone. Alcuni prevedevano ieri un paio d’anni di carcere o poco più, visto che Ezaria è stato condannato per omicido colposo e ha dalla sua parte il governo – il premier Netanyahu e il ministro della difesa Lieberman in passato si sono espressi in suo sostegno -, i laburisti con il testa il leader Isaac Herzog, buona parte dei parlamentari e, soprattutto, la maggioranza degli israeliani. Due anni che potrebbero voler dire libertà vigilata quasi subito, come spera la famiglia del soldato che in questi mesi ha ricevuto appoggi e aiuti da più parti. E se in queste ore la destra radicale – inclusi gli attivisti dell’organizzazione razzista Kach, ufficialmente fuorilegge ma che ieri manifestavano davanti al quartier generale delle forze armate – minaccia la giudice Heller e il capo di stato maggiore Eisenkot per «aver abbandonato un eroe della lotta al terrorismo arabo», va anche ricordato che qualche mese fa non pochi artisti, alcuni dei quali non noti come simpatizzanti di destra, si sono esibiti a Tel Aviv a favore di Azaria «detenuto ingiustamente».

D’altronde questo è uno dei rari casi in cui la magistratura militare israeliana va sino in fondo con un procedimento avviato contro un soldato per un’uccisione compiuta nei territori palestinesi sotto occupazione. L’anno scorso il centro israeliano per i diritti umani B’Tselem ha annunciato che non avrebbe più presentato denunce alla procura militare perché del tutto inutile. Due giorni fa, un altro gruppo per i diritti umani, Yesh Din, ha sottolineato nel suo rapporto annuale che sono «eccezionalmente bassi» i procedimenti nei confronti dei militari responsabili di violenze contro i palestinesi. Nel 2015, riferisce Yesh Din, l’esercito ha aperto 186 indagini e appena quattro di esse sono arrivate al rinvio a giudizio. Nello stesso anno solo in 21 dei 76 casi di uccisioni di palestinesi l’esercito ha ritenuto di dover aprire delle indagini.

Per questo i palestinesi, incluso il ministero degli esteri dell’Anp, considerano un processo-farsa quello che si è chiuso ieri a Tel Aviv. Elor Azaria, dicono, l’avrebbe fatta franca come altri soldati, in situazioni analoghe avvenute durante l’Intifada di Gerusalemme dello scorso anno, se l’uccisione a sangue freddo di Abdel Fattah al-Sharif non fosse stata filmata da un palestinese in possesso di una telecamera e le immagini non fossero state diffuse subito in rete, costringendo i comandi militari a prendere posizione sull’accaduto. A sorpresa è ottimista Yousri al Sharif, il padre di Abdel Fattah. «Va bene così. È un passo avanti la condanna di quel soldato, per il crimine che ha commesso spero che i giudici lo lascino in carcere tutta la vita», commentava ieri mattina con fiducia mentre assieme alla famiglia seguiva in tv gli sviluppi a Tel Aviv.