Due mesi, non un giorno di più. A marzo sapremo se l’Unione europea esisterà ancora, almeno così come la conosciamo oggi, oppure se la vedremo crollare sotto i colpi inferti dagli interessi nazionali. A lanciare l’allarme non è certo l’ultimo arrivato, ma il presidente del consiglio europeo Donald Tusk parlando ieri al parlamento di Strasburgo. «Abbiamo due mesi per rimettere la situazione migratoria sotto controllo – ha avvertito -: il consiglio di marzo sarà l’ultima occasione per vedere se la nostra strategia funziona. Altrimenti affronteremo una crisi come il crollo di Schengen».

Dietro le parole di Tusk c’è la scelta presa da sempre più Stati di ripristinare i controlli alle proprie frontiere. Ha cominciato la Germania, poi è toccato a Svezia e Danimarca. Sabato scorso è stata la volta dell’Austria e nelle prossime ore la stessa cosa la faranno anche Slovenia e Croazia. Uno dietro l’altro stanno segnando la fine della libera circolazione delle persone (e delle merci), fino a oggi baluardo e vanto dell’Unione europea messo in ginocchio dalla crisi dei migranti ma anche dalla determinazione di molte capitali a non accoglierli. «L’Unione europea è minacciata alla base e forse non ce ne rendiamo conto» ha rincarato la dose Jean Claude Juncker, per il quale se non si inverte in fretta la rotta a essere messi in dubbio ben presto non saranno solo i confini. «Oggi si reintroducono i controlli alle frontiere, domani ci accorgeremo che il colpo economico è considerevole e dopodomani ci chiederemo perché c’è ancora una moneta unica se non c’è più la libertà di movimento» ha ammonito il presidente della commissione Ue.

Non è certo la prima volta che da Bruxelles, e in particolare proprio da Juncker, si sottolineano i rischi per l’Europa. Mai, però, la situazione è stata così grave. Ai paesi dell’est, si è infatti aggiunto un blocco di Stati tradizionalmente fedeli alle regoli europee e che oggi invece scelgono altre strade. Segnali di una crisi che forse va oltre l’emergenza migranti. «Ormai l’Ue è minacciata nei fondamenti», avverte non a caso Juncker.

Che non si tratti del solito grido «al lupo, al lupo»lo provano come al solito i fatti. Bruxelles spinge da mesi perché gli Stati accettino al loro quota di migranti? ben oggi il governo austriaco presenta una serie di misure per ridurre il numero dei migranti e rendere più sicuri i confini. «Ci saranno misure su come rendere l’Austria meno attraente» per i rifugiati, ha spiegato il ministro delle Finanze, il conservatore Hans Joerg Schelling. Ieri invece a Praga si sono visi i ministri degli Interi di Slovacchia, Ungheria, Polonia e repubblica ceca per un vertice , il cosiddetto gruppo di Visegrad, che hanno ribadito la loro opposizione al sistema di quote obbligatorie per la distribuzione dei rifugiati proposta dalla commissione Ue. Alla riunione hanno partecipato anche i ministri dei di Slovenia, Serbia e Macedonia, con i quali è stato stretto un patto di collaborazione per i controllo dei confini dei Balcani occidentali.

Messa di fronte alle sua incapacità di gestire il fenomeno migratorio, terrorizzata da quanto potrebbe accadere a primavera, quando il bel tempo incoraggerà nuove partenze di massa dalla Siria, l’Unione europea torna a riproporre l’unica ricetta che considera utile per non affondare: rafforzare i controlli lungo le frontiere esterne. Tradotto vuol dire: investire soldi, uomini e mezzi non per salvare i migranti, ma per impedirgli di partire. Per raggiungere il suo scopo Bruxelles spinge soprattutto sulla Turchia e sulla sua capacità di fermare i profughi.«Ankara è la chiave per fermare i migranti», ha spiegato il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmaier. Berlino ha anche criticato l’Italia per le obiezioni sollevato riguardo ai criteri di pagamento dei tre miliardi di euro decisi a novembre dall’Ue come contributo ad Ankara.

Mentre l’Europa litiga, lungo i suoi confini ogni giorno si consumano tragedie, rese più probabili dalle basse temperature di questi giorni. L’Unicef ha lanciato l’allarme per i tanti bambini in arrivo nell’Europa sudorientale. Piccoli stremati dal viaggio, impauriti, stressati e spesso che necessitano di assistenza medica, denuncia l’organizzazione, secondo la quale almeno uno ogni tre rifugiati arrivati nei Balcani è minorenne. Costretti a camminare per ore in mezzo alla neve senza avere, denuncia sempre l’Unicef, né abiti adatti né cibo a sufficienza.