I momenti che “attualizzano” uno scritto su Andrea Pazienza non mancano mai, tanta è l’impronta indelebile del suo “segno invincibile”? nel panorama culturale italiano degli ultimi decenni. La grande mostra che ha circolato ultima nell’ordine a Bagnoli (Napoli), ogni volta più ricca, il lavoro instancabile e puntuale di raccolta dei fratelli, le riedizioni delle sue opere (prossimamente Baldini & Castoldi ripropone il denso e penetrante Pompeo) e nel prossimo futuro un film tratto dalle sue storie. A osare è Renato De Maria, il regista che ha girato per la Rai il documentario sull’appartamento di Bifo, già sede di Radio Alice e di altri momenti del movimento bolognese del ‘77. Dopo Hotel Paura, film con Sergio Castellito e Isabella Ferrari, il regista bolognese che ha vissuto con Pazienza momenti di passaggio fra il ‘77 e gli ‘80 si cimenterà con la traduzione sullo schermo di tre episodi diversi ma emblematici di Paz: Pentothal, Giorno e Zanardi. Di questa transizione fra l’apice del movimento del ‘77 alle prime avvisaglie del cinismo individualistico degli “orrendi ottanta”dalla creatività anarcoide e liberatoria giovanile pur sempre parte di una sinistra di cui s’intravedeva qualche smagliatura al lato bieco e odioso della merce e del delirio d’onnipotenza adolescenziale che in quei crepacci si è annidato, si parlava con Andrea Pazienza in questa intervista. A Pisa nel 1981 in occasione di una bella mostra a Palazzo Lanfranchi dedicata al mensile Frigidaire, la testata di “tendenza”allora sia come contro/informazione che come fumetto, ci eravamo seduti per terra appartati in un angolo. Come sempre allora, la chiacchierata con lui era un imprevedibile flusso di coscienza, fortunatamente in quell’occasione fissato su nastro da un registratore acceso.

Da Pentothal a Zanardi, qual è il personaggio di Pazienza?

Facciamo così: io rispondo a domande in modo un po’ generico…parlando così…uscendo a volte fuori tema…Allora io penso questo: esistono due momenti della mia vita, uno è il momento Pentothal che a sua volta si divide in altri due: uno molto cattolico, clericale, da sagrestia con una ridda di giochi, divertimento, scuse, affettazioni, tartagliamenti, congestioni, nasi grandi, pustole ecc. Poi c’è invece un momento sempre in Pentothal molto più duro che appunto poi è il momento Pentothal, quello che io definii così, che poi doveva essere questo siero della verità che invece non è stato solo questo…che era molto più legnoso, totemico e al quale potevo fare riferimento senza espormi così tanto. Ma questa è una fase iniziale di assoluta non conoscenza del mezzo attraverso il quale io mi proponevo…e così, un po’ come nei temi in classe quando ti dicono “bravo, ma fuori tema”, io mi espandevo sulla carta in modo abbastanza sconnesso, senza esercitarmi molto nel segno, facendo quello che io sapevo già fare, cioè proponendomi attraverso delle chiavi che io già conoscevo, che avevo già sperimentato in altre occasioni, nel privato oppure quando facevo i quadri. Invece tutta l’ultima produzione -la migliore- è quella che a me piace di più e che nasce dalla volontà di divertimento, non tanto di raccontare ma dalla voglia di ricreare delle situazioni quanto più possibile evocative. Questi momenti in me nascono sull’onda di quella che vorrebbe essere una scoperta matematica. Cioè, a me la matematica è mancata a scuola perchè la odiavo. Invece adesso ne sento la mancanza nel senso che mi piacerebbe costruire attraverso dei moduli in modo simmetrico, speculare, definito delle cose che siano quanto più possibili e realiste. Zanardi è la cattiva coscienza di tutti noi, è il nostro compagnuccio di scuola, l’amico d’infanzia perfido che ci ha umiliato in mille modi. E’ la persona che abbiamo odiato di più in assoluto ma alla quale avremmo voluto assomigliare, alla quale ci siamo ispirati di più. Era nefando, ignorante, spregiudicato perchè assolutamente vuoto.

Perchè al liceo e non nella vita normale dove pure c’è questa categoria di persona?

Io adesso sto acquistando forza statica con l’età e perdo invece quella forza che mi faceva volare sulle scale in salita che noi tutti -abbiamo la stessa età- ricordiamo fin troppo bene, quasi con dolore, perchè appartiene a ieri, non ancora all’altro ieri o all’anno scorso. E allora ci sono ancora dei momenti in cui io mi provo, e non mi ritrovo più con quel dinamismo tutto particolare.

E tu che pensi?

Penso che va male da questo punto di vista, mi dispiace molto. A me non interessa la maturità perchè io non credo nella maturità nel senso di acquisizione di conoscenza, responsabilizzazione, presa di coscienza di certi fatti. Mi piacerebbe rimanere giovane il più possibile, nel senso di non doverla mai menare a nessuno dicendogli quello che secondo me deve o non deve fare.

E tu ti comporti così?

No, non mi comporto così, assolutamente, però quando devo inventare dei personaggi cerco di fare in modo che questi personaggi rispondano quanto più possibile a questo particolare tipo di dinamismo eccentrico, violento che poi ha in sé la ribellione, perchè non si tiene. Insomma però, questo non è l’aspetto più importante o quello che m’interessa.. Io mi accorgo che in una città esistono mille situazioni diverse e le riconosco molto di più nei ragazzi che negli adulti o in questi che rappresentano un po’ come me l’età di mezzo, quando non si ha più tempo da dedicare al fatto modale spicciolo, al colore della vespa, a quel particolare aggeggio che ti distingue. E tutto questo muoversi a me piace. Da un certo punto di vista mi disgusta: perché? Quando poi l’ho fatto io, tutta la mia energia dinamica in qualche modo la disperdevo perchè poi non sono arrivato a nessuna conclusione degna, dal momento che oggi mi riconosco con dei dubbi enormi…la disperdevo quindi in politica. Ho passato il liceo a fare casini in politica, mentre invece oggi nei licei di politica non si parla neanche un po’, non esistono più le assemblee, non esiste più niente. E in fondo ?il divertimento puro?…è un regresso sicuramente se si può parlare di regresso, ma forse è superfluo parlarne…

C’è chi dice che a volte ti diverti quando fai i tuoi fumetti ma…

…Ecco, posso rispondere? Prima di tutto il fumetto ha dei tempi che sono i tempi del fumetto, sono i tempi che non danno al fumetto la dignità alla quale potrebbe assurgere in altre particolari circostanze. Nessuno naturalmente ci costringe o costringe me a lavorare producendo una storia al mese o ogni due mesi, però poi alla fine si entra in un gioco particolare di situazioni che ne sei costretto forse più che se esistesse realmente una figura che ti obbliga a farlo. Il fatto è -voglio entrare anche in termini spiccioli- che una tavola a me viene pagata 100-120mila lire. Basta prendere il giornale e contare il numero delle tavole: quello che tendo a fare, come tutti quelli che riescono a pubblicare tutto quello che fanno, è di garantirmi uno stipendio. Quello che fanno tutti, tutti quelli che cercano un lavoro cercano di fare questo…Per esempio c’è una tavola su Amore mio dove c’è una figura accovacciata che guarda un pezzo di carta appallottolato che gli sta davanti, è una cosa a colori. Dietro io ci avrei voluto fare un Victor Vasarelli, tutto matematico, una sorta di progetto costruttivista con delle cromie molto studiate, molto particolari e ti assicuro che sarei riuscito a farlo se avessi avuto il tempo. Non avevo il tempo e mi sono dovuto accontentare di una serie squalificante di rombi colorati. Potrà anche piacere, però non è la cosa che avrei voluto fare se avessi avuto un tempo diverso. Però questo non è importante…Quando riesco a produrre qualcosa che mi piace molto, io godo, mi diverto nel farla, passo dei momenti che per me sono indimenticabili. Quando invece faccio qualcosa che non mi va, io ho sofferto per un mese e quindi non perdo il sonno a pensare alle 3.500 lire che ha perso il tipo comprando il giornale e rimanendo deluso, perchè lui ha perso 3.500 lire e io ci sono stato molto, ma molto più male… Sono io quello che ci sta peggio, quindi non mi sento costretto di dare spiegazioni a nessuno da questo punto di vista. Un’opera d’arte o un quadro o un vaso o un water significa esattamente quello che riesci a vedere. Quello che vedi è quello che è. Nessuno ti obbliga -ed è giusto- a conoscerne la storia, a conoscerne i passaggi della ricerca che sono alla base del progetto, tutte la teorie dell’evoluzione che hanno portato a questo tipo particolare di oggetto. E’ una storia a parte. Il critico secondo me è un parassita perchè vive del lavoro di altri, quindi un’opera significa o non significa quello che riesci a vedere. Tutto il resto sono altre discipline, la storiografia, le mille definizioni che compongono l’universo, la galassia delle materie al Dams, per esempio, che sono una più stupida dell’altra o una meno definibile dell’altra, una più funambolica dell’altra nella definizione. Poi in effetti se la cosa riesce a trasmetterti qualcosa ha funzionato, se non te la trasmette non ha funzionato e finisce lì. A volte è questione di un millimetro… Esistono delle matematiche che determinano tutto questo. Queste sono le matematiche alle quali io vorrei arrivare, però è un lavoro difficile perchè quando sei là, vai, capito?

C’è un tuo filone di satira politica o proprio non ti poni il problema?

No, mi piacerebbe avere a disposizione una quantità di segni diversi e poter fruire di questi segni, però vanno coltivati in qualche modo. Io non ho molto tempo né voglia…Poi in verità se io adesso mi dovessi mettere a fare la satira politica dopo due anni che non la faccio più, non ci riuscirei. Così come non avrebbe più senso per me fare una vignetta con De Michelis con la scritta “De Michelis è un brigatista”, mentre invece al limite se l’avessi fatta due anni fa-però usando un modo particolare di proporre l’immagine- avrebbe funzionato, forse.

Che musica ti piace adesso?

Sento la radio, però non ho impianti, non colleziono dischi, non so…siccome di solito dico cose alle quali credo, almeno al momento… Se tu mi fai una domanda sulla musica, io ti posso rispondere con qualche cosa buttata lì che poi domani non ricorderei.

Allora più secco: che disco metteresti adesso?

Ah, metterei l’ultimo dei King Crimson, Discipline con Robert Fripp che fa il barrito d’elefante.

Ti senti una star?

Tsk! No.

Sei ancora il vecchio…

…Non sono mai stato il vecchio, c’ho 25 anni… Solo in certe occasioni come queste si ha l’occasione di trovarsi, altrimenti e per fortuna non si vivono certe cose proprio per niente. Meno male. Non è né un ghetto né altro, è proprio la felice normalità e la vita di chi se l’è cercata e che se lo sta vivendo con idiota tranquillità. Ho un’infinità di problemi, ma non sono questi, cioè sono proprio problemi: non fare il militare, cambiare casa…