Wim Wenders ha compiuto 70 anni il 15 agosto scorso e la casa editrice tedesca Jacoby & Stuart ha voluto celebrare il suo compleanno con la pubblicazione della graphic novel tratta da uno dei suoi film più noti Il Cielo sopra Berlino. Era il 1987 quando il regista allora 42enne scrisse insieme con Peter Handke la storia d’amore di Damiel, l’angelo vigilante e di Marion trapezista e «angelo» anch’ella ma solo nella finzione circense. Spirito e corpo in apparenza inconciliabili. «È magnifico vivere di solo spirito – dice Damiel al suo omologo Cassiel all’inizio del film – e giorno dopo giorno testimoniare alla gente per l’eternità solo ciò che è spirituale. Ma – confessa indugiando su fantasie contrarie alla natura di un angelo e rompendo così l’equilibrio iniziale della narrazione – a volte la mia eterna esistenza spirituale mi pesa e allora non vorrei più fluttuare così in eterno. Vorrei sentire un peso dentro di me che mi levi quest’infinitezza legandomi in qualche modo alla terra».
Il film è il testamento di un’epoca nella quale, accanto alle vicende dolorose legate agli anni della cortina di ferro, risuona potente la cultura no wave/post punk che ebbe a Berlino il suo epicentro: l’apparizione nel film di Nick Cave che canta From here to Eternity dà atto di ciò. La città tedesca martoriata dai bombardamenti subiti alla fine della seconda guerra mondiale e profondamente segnata dagli interventi urbanistici imposti dalla presenza del muro negli anni più crudi della guerra fredda è il teatro della storia umana e angelica di Wenders e Handke. Il film è il commiato di un’epoca che cede il passo della storia all’apparente nuovo mondo della globalizzazione. Sebastiano Toma, italiano di nascita, insieme al figlio Lorenzo è l’autore della graphic novel Der Himmel uber Berlin. Un lavoro di ricalibratura della storia e delle immagini del film radicale soprattutto in considerazione del fatto che la capitale tedesca oggi è una città totalmente diversa da quella raccontata da Wenders.

Quali set sono risultati più difficili da raccontare visto il radicale cambiamento della Berlino di oggi?

Prima di iniziare il progetto avevo fatto una ricerca su quasi tutti i set originali. Per fortuna esiste un libro nel quale Wim Wenders riporta la toponomastica dei luoghi del film. Avevo un eccellente punto di partenza e cominciai a scattare foto. Alcuni di questi posti sono quasi identici, altri invece non si riconoscono affatto. Ma non era un grande problema perché volevo raccontare la città di oggi. Ho raccolto molti materiali tanto che stiamo per girare un documentario su questo aspetto del mio lavoro. Leggendo il libro di Wenders mi sono reso conto che nonostante i cambiamenti la mia idea funzionava. Alcune parti come quella in cui l’anziano Homer [il moderno Omero)va in cerca della sua Berlino scomparsa dopo la seconda guerra mondiale, va benissimo anche oggi. Perché oggi Potsdamer Platz è un posto al quale è stata rubata la storia. Nella furia di ricostruire la città dopo la caduta del muro, hanno reso Potsdamer Platz un posto fantasma. I turisti che salgono le scale mobili dalla metro, una volta raggiunta l’uscita, si guardano intorno e la prima cosa che fanno è chiedere: ma dove è la famosa Potsdamer Platz?

Tra i momenti più intensi del film c’è la sequenza alla biblioteca di stato perché hai deciso di spostare quella parte al museo dell’olocausto?

Nutro un grandissimo rispetto per quelle scene che per me sono tra le più significative. Non aveva senso pensare di riprodurre quella sequenza così com’era anche perché tutto quello che viene detto e mostrato è un’allegoria su Berlino, sulla guerra, sulla pace, sulla gente. Una sequenza difficile da categorizzare. Così mi venne l´idea di ambientarla al museo dell´olocausto. Un posto inesistente nel 1987 ma che restituisce l´atmosfera della Berlino di una volta. Sì è seduti tra i monoliti leggendo oppure facendo quattro chiacchiere. Un posto che in qualche modo assomiglia ad una biblioteca ma che è in verità una sorta di cimitero. Un archivio del passato, di tutto ciò che è stato. Nella scena della biblioteca, Homer parla delle sciagure e Wenders sovrappone frammenti di autentici film sulla guerra. Quindi il museo dell´olocausto è un chiaro riferimento a quelle scene del film.

L’altro importante personaggio/viaggiatore del film, Peter Falk che interpreta se stesso, è quasi assente nel libro e tutto il tuo interesse è rivolto soprattutto alla storia d’amore di Marion e Damiel che è poi il tema centrale del film, è così?

Giusto. Mi sembrava impossibile rappresentarlo anche perché è morto. Quindi non potevo resuscitarlo nella Berlino di oggi. Solo gli angeli sono immortali. Inoltre non volevo riproporre tutta la parte nella quale si gira il film sui nazisti. Così ho deciso di inserire Peter Falk come un ricordo di Damiel. Al museo dell´olocausto, Damiel racconta a Cassiel di aver incontrato una volta un ex angelo e in effetti racconta la scena del film in cui Peter Falk si accorge che vicino a lui si è posato un angelo, non lo vede ma avverte la presenza di Damiel. Falk gli racconta come è bello essere tra i mortali e come sarebbe bello parlare insieme. Damiel si sposta verso il bunker vicino alla stazione distrutta di Anhalter Bahnhof. Su una roulotte, un ex chiosco dove si vendevano bevande, ho scritto in inglese il testo originale che Peter Falk dice a Damiel: to smoke, have coffee. And if you do it together it´s fantastic! Damiel osserva il chiosco e prende la decisione di incarnarsi in un essere mortale, decisione che diventa effettiva dopo aver incontrato Marion nel circo. La scritta wer bomben baut wirft bomben (Chi costruisce bombe lancia bombe) esiste ancora. Oggi il bunker è un gabinetto degli orrori. Ci entri e dappertutto ci sono mostri, scheletri e fantasmi terrorizzanti.

Hai conservato nelle tavole il bianco e nero dell’originale e con Lorenzo siete riusciti a conservare l’atmosfera del film, nello specifico qual è stato il metodo del vostro lavoro?

Sono state utilizzate diverse tecniche anche per poter cambiare in un secondo momento le posizioni delle tavole da montare nel libro. Alcuni amici e attori hanno posato per me. Ho scattato alcune foto con i modelli direttamente sui set, altre volte invece li ho fotografati in uno studio e solo in un secondo momento li ho contestualizzati in ambienti inventati oppure preesistenti. Una parte delle tavole sono state disegnate direttamente su carta, poi dopo averle trasferite al computer le ho ritoccate. Altri disegni sono stati realizzati completamente al computer, in questo modo è stato possibile sin dall´inizio lavorare su diversi livelli.