Prima testa e poi vende: in Turchia il Comitato per l’industria della difesa ha approvato ieri nuovi progetti militari per un valore totale di 5,9 miliardi di dollari. Lo ha annunciato in pompa magna il premier Davutoglu che ha specificato che 4,5 miliardi del totale finanzieranno progetti interni.

Produzione domestica per dare una spinta significativa ad un settore, quello bellico, che sta vivendo un’exploit grazie alle campagne anti-kurde in corso. Nei primi due mesi dell’anno le esportazioni turche di armi sono cresciute del 35%. In prima linea nell’interesse dei compratori ci sono i droni dotati di missili.

«La produzione di massa dei nostri fucili di fanteria comincerà quest’anno – ha detto il primo ministro – Stiamo anche lavorando sugli ultimi sviluppi nella produzione di aerei da guerra e abbiamo raggiunto un ottimo livello nella produzione di droni che non necessitano più di tecnologia straniera». Ankara prova a ballare da sola: la compagnia cinese che avrebbe dovuto occuparsi di fornire un sistema di difesa anti-missile e di missili a lungo raggio è stata silurata a novembre. L’appalto è stato girato a due compagnie turche, mentre dal 2015 la costruzione di elicotteri Atak è stata affidata alla compagnia locale Tai, la Tusas Turkish Aerospace Industries.

Una produzione a pieno ritmo che, aggiunge Davutoglu, non ha subito ritardi viste le necessità belliche della campagna anti-Pkk. Contro il movimento kurdo potrebbe essere dispiegata l’ultima creatura dell’industria militare turca: il carro armato Altay, prodotto della Koc Holding’s Otokar che ne fornirà 250.

La campagna, entrata ormai nel suo ottavo mese, non accenna a fermarsi. Nonostante l’esercito turco abbia dichiarato concluse le operazioni a Cizre e Sur, la violenza continua a stritolare le città kurde. Se a Cizre le famiglie sfollate che stanno rientrando sono costrette a disseppellire cadaveri dalle macerie, due giorni fa si sono aperte le operazioni nella città di Yuksekova, nel distretto di Hakkari, estremo oriente della Turchia al confine con l’Iran.

Il più colpito è il quartiere di Gever: le strade sono occupate da polizia e esercito, un dispiegamento di forze ingente che si palesa con colpi di artiglieria quasi ininterrotti. Per ora il coprifuoco non è stato dichiarato, ma i punti di ingresso nel quartiere sono bloccati da veicoli blindati. Il coprifuoco, quindi, c’è seppure virtuale.

Si combatte ancora anche a Sur. Sono ormai 99 i giorni di coprifuoco continuo, dalla metà di dicembre, un assedio che ha interrotto la vita della popolazione e devastato il più bel quartiere di Diyarbakir, patrimonio Unesco: l’80% degli edifici sono stati distrutti o danneggiati, secondo il partito di opposizione Hdp. Il boato delle esplosioni e il fumo nero che incessante si alza dalle macerie dice a tutti che la campagna prosegue.

Come prosegue la campagna occulta contro i kurdi siriani. Nel nord della Siria le Ypg, braccio armato del partito Pyd, subiscono la repressione di Ankara sottoforma di sostegno agli islamisti. Se nei giorni scorsi le telecamere della russa Rt avevano catturato il passaggio di camion dal valico di Bab al-Salama verso un villaggio controllato da al-Nusra, ieri la stessa emittente ha raccolto un’altra denuncia kurda: la Turchia – dice il portavoce Redur Xelil – fornirebbe una via sicura di transito di armi chimiche che gruppi islamisti utilizzano contro le postazioni delle Ypg intorno Aleppo.

Le esplosioni, dice Xelil, emettono un «odore innaturale e un fumo giallo», il che fa immaginare l’uso di gas sarin: «Le nostre fonti all’interno delle milizie ribelli confermano l’uso di sostanze tossiche. Abbiamo poi verificato l’informazione secondo cui gas sarin è arrivato dalla Turchia». Il mese scorso l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha accusato l’Isis di usare armi chimiche contro le forze kurde nel corso del 2015.