Il sistema economico internazionale attraversa una crisi di struttura, ma i leader mondiali si trascinano – stancamente – dentro i soliti cliché. La crisi del 2007 non è un fenomeno legato ad un particolare ciclo economico, piuttosto vive una crisi che richiama un certo modo di accumulare – leverage – che ha condizionato il profitto realizzato con le cose. Il summit del G20 cinese di domenica è l’ennesimo richiamo alle buone intenzioni. Brexit e crescita internazionale non hanno scosso il mondo, così come la geo-politica. Si prende atto della situazione e richiama le solite riforme strutturali (nazionali) per affrontare gli effetti del quasi collasso internazionale.

Qualcuno si è spinto a sostenere che alla fine la minore crescita della Cina, piuttosto che la contenuta dinamica dei paesi Bric, è meno grave di quello che era lecito attendersi. La storia non si ripete mai allo stesso modo, ma possiamo anche ben dire che gli effetti negativi aumentano come se ci fosse una permanenza degli stessi effetti negativi. Il capitalismo è una cosa seria, sicuramente molto più seria dei capitalisti. Per questo servirebbe un’altra classe dirigente.

In generale sappiamo cosa sarebbe necessario; tra le pieghe di alcuni documenti internazionali possiamo intravvedere qualche sollecitazione, ma senza istituzioni del capitale sovra-nazionali adeguate non si va da nessuna parte. Almeno l’Europa diventi qualcosa che assomigli alle suggestioni di Spinelli. Inoltre, nessuno ha voglia di misurarsi con il cambio di paradigma – storia -, prefigurando una ignoranza dei leader internazionali ed europei disarmante (P. Leon). Dalla fine di un’era e di una storia economica – Reagan e Thatcher – si esce con un’altra storia e con altre ambizioni. In altri termini, «la guerra contro la povertà è un nuovo obiettivo di politica economica che implica che i pesi relativi assegnati agli altri obiettivi debbano essere riconsiderati» (H. Minsky). Invece, l’aumento della povertà e dell’incertezza diventano l’occasione per ridisegnare – comprimere – lo Stato.

Recuperando una risposta di Keynes a un famoso architetto che aveva grandi progetti per la ricostruzione di Londra e chiedeva dove fosse il denaro, «il denaro? – feci io – non costruirete mica le case col denaro? Volete dire che non ci sono abbastanza mattoni e calcina e acciaio e cemento?». «Oh no – rispose – c’è abbondanza di tutto questo». «Allora intendete dire che non ci sono abbastanza operai?». «Gli operai ci sono, e anche gli architetti». «Bene, se ci sono mattoni, acciaio, cemento, operai e architetti, perché non trasformare in case tutti questi materiali?».

L’orizzonte dovrebbe essere quello di avere un numero dei posti di lavoro vacanti più grande del numero dei disoccupati, e questo può essere perseguito se il governo agisce come datore di lavoro che, avendo un vasto ammontare di progetti che necessitano di essere compiuti, è disponibile e in grado di pagare, per ottenere che questi lavori siano effettivamente portati a termine (H. Minsky).

Sono lezioni antiche che certamente necessitano di un aggiornamento, ma l’obbiettivo deve essere quello di cambiare le regole del gioco, la struttura dei poteri in fabbrica e nell’esercito – in questo caso sono condizionato da quanto accaduto in Turchia -, nel campo dell’informazione, per creare nuovi poteri e diffonderli in modo tale che la somma dei poteri non si concentri più nello Stato (R. Lombardi, il manifesto 1977). Non credo che si debba essere così coraggiosi, ma si potrebbe almeno tentare di abbozzare qualcosa che richiama il riformismo discusso da Magri e Lombardi?

Il ministro Padoan, invece, appena finito il vertice del G20 afferma «barra dritta su consolidamento e crescita allo stesso tempo», limitandosi a prendere atto della minore crescita per l’Italia, ora stimata all’1% per il 2017, con tutte le ripercussioni sui conti pubblici. Non solo il governo deve ancora trovare 13 mld per sterilizzare gli aumenti di Iva e accise – prima o poi queste clausole dovranno essere monetizzate -, ma servirebbero altri 8 mld per i sempre verdi aiuti alle imprese: taglio dell’Ires e del super ammortamento sugli acquisti di nuovi macchinari. Il metodo è sempre lo stesso: rilancio della spending review e revisione delle agevolazioni fiscali. Quello che l’Italia può aspettarsi è una ulteriore flessibilità europea, alla condizione di ulteriori riforme ordoliberiste (L. Demichelis). Nel mezzo della discussione economico-politica entrano le così dette sofferenze bancarie. Visco ha ridimensionato la questione: «I Npl italiani, pari a 360 miliardi, 87 netti, scendono a 15 miliardi se si guarda alle situazioni oggettivamente critiche sul piano del recupero … il rischio sarebbe di soli 7-8 miliardi limitato ad alcuni istituti». Sullo sfondo c’è la bomba Deutsche Bank con i suoi titoli illiquidi come i derivati negoziati fuori dai circuiti regolamentati o i prestiti per operazioni di private equity.

Sarebbe il tempo di grandi riformisti. Roosevelt forse è troppo, ma recuperare il dibattito di Magri e Lombardi non sarebbe una cattiva strada.