Lo spione di Stato è approdato in Parlamento. Il fattaccio è accaduto nelle commissioni congiunte II e IV della Camera, che hanno approvato nella seduta del 19 marzo l’emendamento 2.100 del governo al disegno di legge AC 2893-A (conversione del cosiddetto decreto antiterrorismo). L’emendamento modificava l’art. 266-bis, co. 1, c.p.p. consentendo le intercettazioni «anche attraverso l’impiego di strumenti o di programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico». Non si tratta più di intercettare un dato o una comunicazione in transito o in corso di svolgimento. È spionaggio in senso proprio. Ogni computer, tablet, smartphone diventa un libro aperto. E non – si badi – solo per fatti di terrorismo, ma anche per un gran numero di reati che con il terrorismo nulla hanno a che fare. Spyware e phishing si coprono con la sacralità dell’interesse pubblico.

A Palazzo Chigi le pensano di notte. L’emendamento 2.100 arriva alle Commissioni nel corso della seduta – appunto, notturna – del 18 marzo 2015, iniziata alle 20.05. Accantonamento degli emendamenti all’art. 2, termine per i subemendamenti la mattina successiva, votazione nella seduta del 19 marzo iniziata alle 17.30. Sono respinti i – pochissimi – subemendamenti, tesi a limitare la portata del 2.100.

L’ineffabile viceministro Bubbico afferma che «si utilizzeranno tutti gli strumenti tecnici esistenti per rendere possibile la finalità perseguita dalla norma, vale a dire l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico». E rincara poi la dose, chiarendo che «non è possibile far sapere quali mezzi tecnici le forze dell’ordine useranno per perseguire i reati e contrastare il crimine, in quanto questo tipo di pubblicità vanificherebbe la loro azione» (Bollettino Commissioni, 19.03.2015, pag. 10).

Forse un governo meno arrogante avrebbe almeno avuto la cautela di far presentare l’emendamento da qualche innocuo peone di maggioranza, per non metterci troppo la faccia. Ma non questo governo, che non esita a dichiarare apertamente di voler spiare in segreto propri cittadini. E soprattutto colpisce che norme stravolgenti siano state approvate in poche ore, nella inconsapevolezza dei gruppi parlamentari, e senza alcun parere delle commissioni di merito.

La giustificazione, ovviamente, è nel fatto che si tratta di conversione di decreto legge, che deve giungere all’approvazione entro 60 giorni. Ma questo dimostra come abbia ragione la Corte costituzionale nella sent. 32/2014, in cui afferma sulla decretazione di urgenza che una «penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge, ex art. 72 Cost. … Nella misura in cui le Camere non rispettano la funzione tipica della legge di conversione … al fine di perseguire scopi ulteriori rispetto alla conversione del provvedimento del Governo, agiscono in una situazione di carenza di potere».

È esattamente quel che è accaduto. Di certo, la materia trattata nell’emendamento 2.100 era troppo delicata, importante e innovativa rispetto al testo originario per essere veicolata in un emendamento in sede di conversione, e per di più nottetempo. E abbiamo anche un assaggio di quel che può diventare il procedimento legislativo con il potere di ghigliottina permanente che la riforma costituzionale in itinere concede all’esecutivo, e la conseguente sempre possibile strozzatura dei tempi del lavoro parlamentare.

Il dubbio di incostituzionalità sull’emendamento si aggiunge ai molti già espressi dagli esperti nelle audizioni sul decreto. Mancato rispetto dei principi di determinatezza e di offensività, di necessità e proporzionalità, della riserva di giurisdizione.

Ora il testo è stato di nuovo emendato in aula ma la norma sullo spione di Stato, stralciata, potrebbe rientrare nel ddl intercettazioni, speriamo ridotta al solo terrorismo, al fondato sospetto che la specifica utenza informatica vi sia direttamente e attivamente coinvolta, e comunque su decisione del giudice. Se tornerà uguale a prima, potremmo consolarci con qualche paradosso. È in Senato l’AS 1627, già approvato dalla Camera, che introduce il reato di inquinamento processuale e depistaggio punito con la reclusione fino a 4 anni. Se fosse definitivamente approvato, quid juris se il nostro antivirus scoprisse e neutralizzasse lo spione di Stato? Dovremmo temere la galera? E se facessimo un hard reset dello smartphone o del tablet? Se formattassimo l’hard disk? Si aprono orizzonti di cui forse possiamo sorridere. Ma non è divertente l’idea che una mail ricevuta per errore o un dato occultamente e con malevola intenzione introdotto nel computer, possa dissolvere a nostra insaputa le difese contro l’invasione del potere pubblico.

Renzi ha ragione: esiste un genio italico, in specie governativo. Peccato sia volto al male.